Eugenetica di un’ideologia. Già, perché il film “Il giovane Karl Marx” è un’appassionante storia umanissima di persone che amano altre persone, di uomini e donne che si uniscono in coppia per combattere assieme nella gioia e nel dolore (l’esilio, la fame, la povertà e l’indigenza), nel nome di una rivoluzione sociale destinata a far uscire milioni di creature da una condizione terribile di sfruttamento e povertà.

Un film, quindi, che nulla ha a che vedere con il processo di germinazione di un’ideologia a diffusione planetaria, destinata a essere declinata in tutti i continenti come “Regime comunista”, con il simbolo giallo-oro della falce e martello sul campo rosso-scarlatto delle bandiere delle lotte operaie del mondo intero. Nella gioventù prorompente dei giovani Marx (August Diehl) ed Engels (Stefan Konarske) si risente tutta la potenza espressiva e creativa dell’Uomo, l’emergere di un Terzo Occhio e di un cuore nuovo che non batte più al ritmo del denaro ma che dibatte, ferocemente, disperatamente, la questione fondamentale del “Essere o non Essere”.

All’inizio del secolo dell’industrializzazione questo tipo di domanda non era solo un precipitato dell’esperienza e dell’opera shakespeariane, ma un vero e proprio dilemma sociale. Si sta al mondo come essere viventi per divenire meri strumenti della produzione, bruta forza lavoro, evirata e sterilizzata della sua Humanitas, oppure si nasce davvero tutti uguali e solo i rapporti sociali in cui ci si troverà a essere inviluppati nel corso dell’esistenza faranno la vera differenza?

Al di là e molto al di sopra della “lotta marxista di classe” il film smitizza le figure dei padri fondatori del Comunismo, preferendo analizzarne le loro radici di uomini ultraterreni, come quella del Karl degli esordi, che lavora come altre decine di “descamisados” in tipografie affollate e su tavoli ingombri di carte e di bozze, penando a mettere ogni giorno in tavola quel che basta appena da vivere per sé e per la propria famiglia, imprigionato in patria per i suoi scritti e poi esiliato, più e più volte.

La storia racconta di lui e della sua formidabile moglie Jenny (Vicky Krieps), squisita, raffinata e coltissima intellettuale di famiglia nobilissima, abbandonata e ripudiata dai suoi semplicemente per essersi innamorata di Karl e averlo seguito nella sua grama vita di pensatore, mal pagato a cottimo per la sua produzione filosofica.

Dalla forza e dall’energia dirompente di una narrazione, che si muove sempre con cadenze tumultuose da cavalcata delle Valchirie, emana un istinto vitale e irresistibile consacrato da due figure di donne, compagne inseparabili degli autori del “Manifesto del Partito Comunista”: Jenny von Westphalen, moglie di Karl, e Mary Burns (Hannah Steele), straordinaria compagna di Frederick che mai ne diverrà la moglie, per rigetto e reazione contro il canone borghese.

Engels, mosso da una passione irrefrenabile che lo spinge a teorizzare la sua rivoluzione, per alleviare le sofferenze dei più poveri e degli operai sfiniti dalla fatica, dopo le quattordici ore quotidiane di lavoro nelle fabbriche insalubri e malsane del nuovo capitalismo anglosassone nascente, per cui solo il Dio Profitto era il faro e la bussola del suo agire sociale, dell’accumulo di potere e denaro come strumento di dominio per la fissazione di rapporti di forza totalmente asimmetrici, tra le classi sociali della borghesia industriale e del proletariato operaio. Un film di classe, senza dubbio.

(*) Trailer ufficiale

Aggiornato il 26 marzo 2018 alle ore 13:39