“Loro due”, il moralismo peloso di Sorrentino

Spacciare il moralismo peloso del cinema “mainstream” italiano per denuncia è già una presa in giro alla nostra intelligenza. Ma tentare poi di far passare una cosiddetta “character assassination” come quella perpetrata da “Loro due” – che inizia dove “Loro uno” finiva – per “impegno civile” da Paolo Sorrentino è operazione di perfetta ipocrisia portata a termine come un bel compitino, facile facile, dal regista in questione. Facilitato in ciò dalle tonnellate di fango mediatico già riversatesi a suo tempo su giornali e rotocalchi e portato poi fin nelle piazze cannibalesche delle Erinni del “se non ora quando”. Le stesse che si ostinano a far finta di credere, e a darcela a bere a tutti noi che ormai abbiamo superato i 50, che le molestie sessuali siano un problema da vip hollywoodiani e non da Paese islamico o anche induista, se si vuole trovare un altro modello di riferimento.

Uno potrebbe dire che Sorrentino poteva anche fare un film di denuncia sul fascismo due punto zero della setta dei Casaleggesi, una fiction sul contratto firmato dai parlamentari contro la costituzione italiana su un vincolo di mandato legato a una penale. O sulle lauree alla Cepu dei cosiddetti esperti del Governo Di Maio. Materiale per la satira e anche per il grottesco non sarebbe mancato. Ma questo presupporrebbe quel coraggio che i “chierici traditori” dell’Italia di ieri e di oggi mai hanno avuto ed evidentemente non avranno mai. Meglio andare sul sicuro. Sparare sulla Croce rossa, cioè su Silvio Berlusconi. Però quello che non si può veramente perdonare a Sorrentino e di avere creato una falsa epopea, una pseudo saga, sui ritagli delle riviste da parrucchiere promuovendo Veronica Lario non solo a vittima ma a eroina che combatte per tutti noi per liberarci dal tiranno malato di priapismo. Il tutto condendo la pellicola con il disprezzo per gli eccessi dei ricchi. Che, quando promana da registi e produttori che comunque tanto poveri non sono, suona parecchio stonato. Il tutto mettendo insieme frasi prese da intercettazioni telefoniche, soffermandosi sulla volgarità gineco-illogica delle veline, ridotte a cantare “meno male che Silvio c’è”, e anche speculando un po’ sul terremoto de L’Aquila che, per come è presentato nel film, sembra un po’ una punizione divina indiretta. Anzi, per conto terzi.

Sprecare il talento del bravissimo Servillo e qualche battuta esilarante che nasce più dal contesto che da una sceneggiatura assai scialba e scontata è un’ulteriore aggravante. Questo film, come anche “Loro uno”, è consigliabile vederlo solo in tv su Sky fra un paio di mesi. Si risparmia sulla fatica esistenziale e sul prezzo del biglietto.

Aggiornato il 03 maggio 2018 alle ore 20:05