Philip Roth, straordinario narratore della tragicommedia

mercoledì 23 maggio 2018


Uno dei più grandi scrittori del nostro tempo. Philip Roth, autentico colosso della letteratura americana, è scomparso all’età di 85 anni. La notizia è stata diffusa dal New York Times e ha ricevuto la conferma dell’agente letterario Andrew Wylie. Il quale ha dichiarato che Roth “è morto per insufficienza cardiaca, circondato dagli amici di una vita, che lo hanno profondamente amato”. Philip Milton Roth discende da una famiglia di ebrei emigrata dall’Europa nel diciannovesimo secolo. L’autore nasce a Newark, nel New Jersey, il 19 marzo del 1933. Si laurea alla Bucknell University e consegue un master in letteratura inglese all’Università di Chicago. I primi scritti di Roth vengono pubblicati durante la fase in cui insegna all’Università della Pennsylvania. Le riviste che accolgono la narrativa dello scrittore sono Esquire, Paris Review, ma, soprattutto, il New Yorker, la bibbia dell’intellighenzia americana. L’esordio avviene nel 1959, con la raccolta di racconti “Goodbye, Columbus”. Autore di più di trenta libri, Philip Roth è uno scrittore che ama il realismo e che ha sempre rifiutato la speranza di una vita ultraterrena. L’autore nel 2009 ha annunciato il suo ritiro dall’attività narrativa. Roth, attraverso la sua scrittura, si è affermato nel mondo quale straordinario narratore della tragicommedia contemporanea.

Roth è stato un autore che si è dedicato all’esplorazione dell’identità americana. I temi dei suoi scritti sono tipici della cultura yiddish: sesso, religione, morale, ideali americani, contrappuntati da un’irresistibile ironia, simboleggiata da figure letterarie ormai celeberrime: da David Kepesh a Alexander Portnoy a Nathan Zuckerman. Al centro della sua narrativa si staglia l’osservazione politico-sociale della vita della comunità ebreo-americana. Nonostante il successo decretato dai lettori e il riconoscimento della critica internazionale, gli è sempre stato negato il premio Nobel per la letteratura. Eppure, nel 1997 ha vinto il premio Pulitzer per il romanzo riconosciuto come il suo capolavoro: “Pastorale Americana”. Ma sono diventati celebri anche altri suoi testi, tradotti in tutto il mondo: “Lamento di Portnoy”, “Lo scrittore fantasma”, “Il teatro di Sabbath”, “La macchia umana”, “L’animale morente”, “Indignazione”, “L’umiliazione”. Fino al suo ultimo romanzo, pubblicato nel 2010: “Nemesi”. Ideale conclusione di un percorso narrativo che abbraccia cinquant’anni di storia e cultura americana.


di Guglielmo Eckert