Festa del cinema di Roma, la lezione di Tornatore sui noir

Giuseppe Tornatore tiene una lezione sul suo genere preferito: il noir. Si tratta, peraltro, del tema della tredicesima edizione della Festa del cinema di Roma. Tutte le proiezioni sono precedute da alcune scene tratte dal cinema noir: da “Gilda” (1946) di Charles Vidor a “Il terzo uomo” (“The Third Man”, 1946) di Carol Reed a “L’infernale Quinlan” (“Touch of Evil”, 1958) di Orson Welles.

Il 62enne regista siciliano, premio Oscar per “Nuovo Cinema Paradiso”, parla, con smisurata passione, di alcuni tra i film che hanno fatto la storia del cinema. Gli attenti spettatori della Sala Petrassi lo seguono ammirati. È uno degli “Incontri ravvicinati” più attesi della kermesse capitolina. Il direttore Antonio Monda sottolinea un fatto evidente: “I registi italiani hanno frequentato poco il noir”. Poi, chiosa: “Il motivo è semplice. Secondo Pietro Germi, autore di “Un maledetto imbroglio”, tratto da “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” di Carlo Emilio Gadda, nessuno da noi ha paura della polizia”.

Sul grande schermo scorrono le sequenze di film memorabili: “La fiamma del peccato” (“Double Indemnity”, 1944) di Billy Wilder, “La donna del ritratto” (“The Woman in the Window”, 1944) di Fritz Lang, “Lo specchio scuro” (“The Dark Mirror”, 1946) di Robert Siodmak, “Detour” (1945) di Edgar G. Ulmer, “Le catene della colpa” (“Out of the Past”, 1947) di Jacques Tourneur, “Il buco” (“Le trou”, 1960) di Jacques Becker, “Il delitto perfetto” (“Dial M for Murder”, 1954) di Alfred Hitchcock. L’elemento che accomuna quasi tutti i registi noir è il fatto di essere “stranieri” ad Hollywood. Si tratta spesso di ebrei in fuga dal nazismo. Infatti, a parte il film di Becker, tutte le altre pellicole mostrate sono realizzate negli Stati Uniti.

Tornatore analizza, s’interroga, racconta aneddoti sui film “della sua vita”. Secondo il cineasta, “il noir ci ricorda l’importanza della vita quotidiana e la conoscenza della realtà delle cose. In questo genere, prima letterario e poi cinematografico, l’elemento centrale è l’ineluttabilità della sconfitta. Insieme al pesantissimo senso di colpa, al tema del “doppio”, della femme fatale e del ribaltamento morale che porta a simpatizzare con il criminale”. Incalzato da Monda, il regista dà la sua definizione di “giallo” e di “noir”. “Nel primo caso – sostiene – il racconto inizia sempre dopo il delitto. Nel secondo caso, il delitto viene raccontato in “tempo reale”. I “plot” dei film noir sono quasi sempre gli stessi: uno scapolo e una donna sposata si amano e progettano l’omicidio del marito. Ma va in scena anche l’opposto. Un marito commissiona l’omicidio della moglie. Eppure, la realizzazione di queste storie affascinanti è sempre diversa”.

Si parte dalla “Fiamma del peccato”: “La scena in cui la donna e l’amante mettono il cadavere in auto non piace inizialmente a Wilder – afferma Tornatore –. Sul set dice che l’avrebbe ripresa l’indomani. Così, il regista si mette in macchina. Ma l’auto non parte. A quel punto, ha l’idea per girare quella scena. È un’intuizione straordinaria che in seguito viene usata migliaia di volte”.

Tornatore sottolinea “che il noir negli anni Quaranta è considerato dalla critica un genere commerciale. La rivalutazione avviene vent’anni dopo, grazie ai critici-registi della Nouvelle Vague: François Truffaut, Jean-Luc Godard, Jacques Rivette, Claude Chabrol ed Éric Rohmer”. Naturalmente, il regista dei “Quattrocento colpi” su tutti. Celebre è, infatti, il suo libro intervista “Il cinema secondo Hitchcock”, realizzato con il maestro della suspense.

Tornatore mostra una pellicola ritenuta “minore”: “Ho ucciso!” (“Crime and Punishment”, 1935) di Josef von Sternberg, liberamente ispirata a “Delitto e castigo”, il romanzo-capolavoro di Fëdor Dostoevskij. “La critica – rimarca il regista – ha ingiustamente boicottato questo film. È anche vero che, come sosteneva Sciascia: “è impossibile fare un buon film da un grande libro”.

Ma Tornatore si sofferma su due opere in particolare: “Le catene della colpa” e “Il delitto perfetto”. “Il primo – evidenzia – è considerato il miglior noir della storia del cinema. Interpretato da Robert Mitchum, Kirk Douglas e Jane Greer, è un film dai dialoghi apodittici, molto letterari. Sullo schermo si susseguono una serie di battute ciniche e incisive”. Infine, Hitchcock. “Sono molto legato – ricorda – al “Delitto perfetto”. L’ho visto innumerevoli volta quando facevo il proiezionista. La critica non lo considera un noir ma un thriller. A mio avviso è un errore. La sequenza finale sintetizza il cinema del grande maestro”. L’ispettore, all’interno della casa, racconta allo spettatore ciò che vede dalla finestra: il comportamento criminoso del marito (Ray Milland) viene raccontato al cospetto della moglie sconvolta (Grace Kelly). “Il racconto della chiave sotto lo zerbino è la narrazione del regista. Una geometria assolutamente perfetta. Sembra il racconto del copione che un regista fa ad un produttore, nella speranza di convincerlo a realizzare il film”.

Aggiornato il 26 ottobre 2018 alle ore 15:45