Che cos’è la libertà? È possibile dare una definizione di questo principio alla base dello stile di vita moderno e occidentale? Axel Honneth, uno dei maggiori studiosi del pensiero politico attuale, cerca di dare una risposta definendo tre tipi di libertà: una prima idea di libertà viene fuori da un consistente filone del pensiero che ha le sue radici in Thomas Hobbes. È la definizione di libertà negativa, come quel principio che elimina gli impedimenti, le costrizioni a cui un cittadino potrebbe essere sottoposto. È sempre una libertà da qualcosa, che si misura sull’”assenza di opposizione” che permette di realizzare la propria volontà all’interno del patto sociale.

Homo homini lupus: Hobbes riprese questo motto antico dal commediografo latino Plauto. È dunque una libertà figlia di una concezione pre-moderna antropologica, prima ancora che politica, che vede nell’uomo un cercatore di piacere e onore, che lo porta, nello stato di natura, a scontrarsi con l’altro. Questo modello di “libertà negativa” è alla base di ogni moderno stato di diritto. Se pensiamo alle condizioni politiche pre-moderne, capiamo quanto sia stata importante questa primo tipo di emancipazione dal potere arbitrale, ma una volta assodata questa condizione, si pone una domanda altrettanto importante: cosa fare della libertà ottenuta?

Un secondo modello di libertà si fonda sull’interiorità dell’individuo: è la “libertà riflessiva” che ha le sue radici nel mondo antico e che, in epoca moderna, venne sistematizza da Rousseau, prima, con la sua teoria dell’uomo “autentico”, che sfugge alle costrizione culturali etero-dirette, e poi da Kant, che vedeva nella volontà la premessa della libertà, eleggendo a principio dell’etica la norma universale per cui occorre trattare ogni uomo “sempre anche come fine e mai solo come mezzo”.

Di certo questo tipo di libertà permette di aderire, di essere fedeli a se stessi e al proprio daimon interiore; è forse la libertà più importante, e sicuramente la più difficile da conservare: non perdere mai la propria personalità, umanità o autenticità, che dir si voglia, in mezzo alla molteplicità e alle difficoltà della società che ci circonda. Un’idea di libertà vicina all’antica sensibilità stoica che invitava il saggio a non farsi scalfire dai mali del mondo e a rimanere come “uno scoglio in mezzo al mare in tempesta”.

Descritti questi due modelli, Honneth arriva a introdurre il terzo tipo di libertà – possiamo leggere queste analisi ben argomentate, insieme ad altre considerazioni di carattere sociologico, nel volume “Il diritto della libertà” (Codice edizioni, 2015, con prefazione di Gustavo Zagrebelsky). E visto che di terzo modello si tratta, quasi una sintesi tra le altre due, chi poteva essere mai il precursore teorico di questa terza idea di libertà?

Hegel – stiamo parlando del filosofo di Jena, ovviamente – la libertà si manifesta là dove gli uomini “possono partecipare a istituzioni le cui pratiche normative assicurano un rapporto di reciproco riconoscimento”. Questo terzo modello nasce grazie alla consapevolezza di non essere soli, ma di avere altri individui portatori di aspirazioni legittime e analoghe alle nostre. Dunque, è una libertà che si fonda nel rapporto con l’altro, con lo stato (per Hegel “il vero è l’intero”).

Venendo al nostro tempo, questo discorso ci fa ricordare quanto sia preziosa la libertà, seme di ogni diritto e prosperità economica, ma ci fa allo stesso tempo porre una nuova domanda: nel tempo del nichilismo e della fine dei valori, esistono ancora dei valori che permettono il riconoscimento della libertà di ognuno e al contempo di allargare il campo della giustizia sociale? È una domanda difficile, ma sicuramente ha una prima riposta: senza libertà tutto questo non può esistere.

Aggiornato il 26 ottobre 2018 alle ore 14:19