La Seconda questione d’Oriente

La Geopolitica oggi è una disciplina che dovrebbe consentire una comprensione globale dei sistemi sociologici che interessano la nostra Storia, in effetti molto spesso queste analisi si coagulano in ambiti di cronaca che ovviamente limita o circoscrive eccessivamente la “lettura” e la comprensione globale. La “Questione d’Oriente” ben scandita cronologicamente da chi di tale materia si occupa e intuita dai più, nasce sicuramente dopo l’11-12 Settembre 1683 sotto i bastioni viennesi, quando Giovanni III Sobieski, re polacco, annichilisce il Gran Visir Merzifonlu Kara Mustafa Pasha, trasformando la percezione dell’Impero Ottomano da “Minaccia d’Europa” a “Malato d’Europa”.

Non indugiando per motivi di spazio sulla contrazione inarrestabile che da quella data subisce l’Impero Ottomano, si arriva a quello che definisco la grande miopia geostrategica contemporanea, che porta il nome di Asia minor Agreement, patto segreto stipulato nel 1916 dal Regno Unito e Francia, previo assenso della Russia, denominato “Patto Sykes-Picot”. Detto Accordo oltre che determinare la futura spartizione dell’Impero Ottomano, con la creazione di aree di controllo franco-anglo-russe, non previde la formazione geografica del Kurdistan, unica area territoriale con comuni denominatori etnici e stabilì il sostegno alla creazione di uno Stato o di una confederazione di stati arabi, rappresentati dalla dinastia Saud e marginalmente dagli Hascemiti giordani, che potesse favorire una “rivolta araba” ed una sollevazione, guidata ideologicamente dal nazionalismo in chiave anti-ottomana.

Tale “strategica creazione” possiamo percepirla anche oggi come contrappeso politico-economico nei confronti della Repubblica di Turchia, erede come forma istituzionale dell’Impero Ottomano dopo il 1922. Il crollo dell’Impero della Porta, preceduto da quello Zarista, Austro Ungarico e Germanico, determina la realizzazione nell’area del Vicino Oriente del Sykes–Picot. La “strategica” frammentazione, assume un equilibrio socio-politico-economico efficace aiutata dal laicismo avviato dal Libero Muratore Kemal Ataturk, che applica alla neo Repubblica un sistema giuridico non schaaritico, infatti adotta un codice civile su modello svizzero, codice penale su modello italiano, codice di procedura penale su modello tedesco.

Nell’area siro-irachena si diffonde il Partito Baath, dal 1947, che rappresenta i principi di riferimento al Nazionalismo arabo: Unità, Libertà, Socialismo. La famiglia alawita degli Assad in Siria e Saddam Hussein in Iraq, ne rappresentano il massimo equilibrio politico. Anche l’area nord africana recepisce l’influenza del socialismo arabo che ha la strenua opposizione di importanti ed influenti uomini politici come Sayyid Qutb, autore del Ma'alim fi al-Tariq, una sorta di Mein Kampf arabo e Hasan al-Banna ideologo e fondatore dell’associazione dei Fratelli Musulmani, i quali periranno per mano di Faruk e Sadat. Il laicismo fu anche bel radicato dal Re Hassan II del Marocco, ispiratore della Mudawwana importantissima norma giuridica inerente il diritto di famiglia che deroga dai dettami della Sharia.

Tutti i succitati eccellenti rappresentati di quella che denomino “antidemocrazie naturali”. La fine del laicismo avvenuto intorno alla metà del secolo scorso e la fine del socialismo arabo, verificatosi con quella che definisco l’inizio della “Seconda Questione d’Oriente” iniziata con la deposizione del Presidente Saddam Hussein, danno inizio ad una fase di destabilizzazione geopolitica, che si conclamerà con la nascita dello Stato Islamico (الدولة الإسلامية في العراق والشام) del Dr. Ibrāhīm Abū Du^ā^ alias Abu Bakr Al-Baghdadi.

In conclusione ricordo quanto scritto da Samir Kassir giornalista libanese ucciso in un attentato nel 2005 nel suo elaborato sulla infelicità araba”: "L’infelicità araba ha questo di particolare: la provano quelli che altrove parrebbero risparmiati, e ha a che fare, più che con i dati, con le percezioni e con i sentimenti... Eredi di una grande civiltà che guardava al futuro, gli arabi possono riappropriarsi del proprio destino. A patto di liberarsi della cultura del vittimismo. E di fare i conti con quella modernità che molti continuano a vivere come una minaccia". Il manifesto del dissenso arabo.

 

Aggiornato il 21 novembre 2018 alle ore 10:17