Io sono Mia

venerdì 11 gennaio 2019


Che tempo fa? Ma, dov’è il “Tempo” nell’immortalità? Perché, poi, il Genio non si riduce col passare dei secoli. Soprattutto quando ne rimangano le evidenze spietate e imperiture tradotte in scritti, immagini, suoni. Mia Martini (Domenica Rita Adriana Bertè) appartiene a quest’ultimo tipo di Olimpo. Tra i tanti ricordi e biografie a lei dedicate, l’ultima in ordine di apparizione è il biofilm (nelle sale esclusivamente come evento nei giorni dal 14 al 16 gennaio) “Io sono Mia”, prodotto da Luca Barbareschi, per la regia di Riccardo Donna e la straordinaria interpretazione di Serena Rossi, nella parte della grande star singer. Che cosa si prova nell’assistere ai tuoi anni passati, in cui eri molto più giovane di ora, quando la sua voce straordinaria è apparsa nella tua vita e ti ha accompagnato fin qui? Un grande, grandissimo dolore. Perché, innanzitutto, non sei riuscito a evitare il suo. L’impotenza nei confronti di chi ami è la più grande disgrazia dell’uomo. Ma il successo e il mito sfuggono alla comprensione di tutti coloro che vivono dei risultati del suo genio. Essi sono solo gli usufruttuari di un’infinita sofferenza, che si nasconde come il ladro di notte dietro le tende spesse del backstage delle case di incisione, degli uffici dei discografici, delle feste private e degli incontri nei locali pubblici.

Invece il film ha l’enorme pregio di farli riapparire, e noi siamo costretti a sputare grumi di neve intrisa di lacrime che abbiamo ingoiato nella tempesta emotiva per fare quei quattro passi nella conoscenza di chi non abbiamo mai conosciuto, illudendoci semplicemente che una splendida voce corrispondesse tout-court a una vita piena di gioie. E invece no. Siamo avvolti dal mantello bianco doloroso del fantasma di Mia che agisce come un tumore maligno incurabile delle parti molli e dalle viscere sofferenti emerge la verità. Una famiglia dove l’inferno è legge. Un padre che non accetta le sue figlie così diverse, così ribelli. Loro che sfuggiranno all’orbitazione della sua luna nera riparando a Roma assieme alla madre, per fare la vita di bohèmiennes forti della loro gioventù irruenta che le porta verso l’arte e, allo stesso momento, verso la perdizione del mondo fatto e strafatto di lustrini, denaro, sesso, droga costituito da quel circo Barnum dei discografici, della case di incisione e soprattutto dall’invidia becera quando arriva il grande successo. Da banali coincidenze negative (un incidente mortale d’auto, alcuni black-out negli studi e ai concerti, etc.) nasce il contro-mito dello iettatore, stimmate che poi non ti lascia più, che ti segue come un’ombra maligna appena fai un passo per fare ascoltare le cose meravigliose che hai da dire.

Così, i momenti di solitudine scivolano l’uno sull’altro come i gradini di una scalinata ghiacciata, in cui ogni passo è un insidia maggiore per quello successivo, mano a mano che la cinetica comanda le sue ragioni. Una discesa rovinosa senza fine al primo passo falso. E non bastano le luci fioche di migliaia di sigarette consumate nella solitudine più nera, a seguito di rifiuti che il mondo dei contratti civili strumentalizza per ridurre sul lastrico e alla nuova povertà colei che ebbe il coraggio del gran rifiuto, chiudendosi le porte dorate alle sue spalle, pur di rimanere sé stessa. Come l’Amore che ti lascia, ti prende, ti fa volare e precipitare senza un attimo di vero respiro. E solo le grandi anime tragiche, come quella di Mia riescono a riaffiorare, tagliando da sole il nodo scorsoio che le lega nel fondo di melma del lago mediatico e discografico. Molti i pivot che, seppur inventati, sono di estremo ausilio a ricucire tra di loro i fatti veri della vita vissuta di una grandissima artista, che ha appreso a camminare nel suo infinito tappeto di chiodi, steso davanti a lei da un Destino ancora più invidioso del genere umano. La ricostruzione degli interni come degli esterni, la scelta acuta dei personaggi veramente esistiti e di quelli di liason sono altrettante perle di un giacimento marino raro, quello in cui pesca il meraviglioso trio Murolo, Gragnaniello Martini in “Cu’mme”.

(*) Trailer ufficiale

 


di Maurizio Bonanni