Il ritorno di Pietro L’Aretino

Non soltanto Leonardo da Vinci.

Firenze quest’anno apre con molte mostre ed eventi legati alle più importanti e talvolta “stravaganti” figure della Rinascenza, della quale la città fu culla.

Una di queste è dedicata a uno dei più eccentrici, discussi e originali poeti del tempo, che tutti conoscono come Pietro Aretino e che reca il titolo di “Pietro Aretino e l’arte del Rinascimento”, curata da Anna Bisceglia, Matteo Ceriana e Paolo Procaccioli, all’ Aula Magliabechiana degli Uffizi, dal 26 novembre 2019 al 1 marzo 2020.

Compagno d’avventure picaresche con Benvenuto Cellini, a Roma, l’Aretino è insieme con l’orafo stregone e assassino, una delle più interessanti facce di un Rinascimento sulfureo, aureo e insanguinato, irridente e magico, che si muove nelle ombre della sera, tra amore ed erotismo, in una ridda di avventure senza pari.

Un aspetto insolito e forse differente di un’epoca che la vulgata e la scuola ci hanno voluto mostrare in maniera falsata e poco rispondente al vero. Pietro Aretino, scrittore e drammaturgo, è uno di questi aspetti, noto ai più per i suoi sonetti dal contenuto licenzioso, pochi sanno che scrisse anche opere di contenuto religioso che lo resero ben accetto presso la Curia romana rendendolo tanto amato quanto discusso, se non odiato, dagli altri cortigiani. L’Aretino disserta così spesso delle cortigiane e delle loro “malizie”, attardandosi con dovizia di particolari erotici a descrivere le posizioni amorose poste in atto dalle “mignotte rinomate”, nonché gli svariati modi per definire gli organi sessuali e le strategie che queste donne usano per raggirare i loro amanti.

È lui che ci tramanda la leggendaria scommessa di una di queste famose prostitute: Lucrezia Porzia, che, in occasione del conclave per l’elezione del successore di Leone X, mise in gioco la concessione carnale delle proprie grazie per tre notti consecutive contro cento scudi. La scommessa verrà persa dalla donna, che dovette così concedersi al vincitore.

Pietro Aretino ci dà quindi un’immagine della Roma del Cinquecento diversa, eppure al tempo stesso simile a quella attuale, tra prostitute d’alto bordo, festini e ricchezze, ma dalla quale, lungo i secoli che ci separano, l’Urbe contemporanea si distingue per una così differente altezza di gusto, arte e Bellezza, oggi in un cupio dissolvi che del Rinascimento non ha più nulla, se non un vago e sbiadito ricordo. Se allora le più grandi cortigiane, donne di fascino e cultura, forgiavano capitani e re, opulente nelle loro carni come Isabella de Luna, Madama Lucrezia e Angela Greca, oggi cosa ci resta… forse qualche blaterante pornostar in cerca di gloria effimera, sapendo che di loro non resterà nulla, neanche il ricordo stinto su un muro.

Aggiornato il 28 gennaio 2019 alle ore 12:50