Come funziona l’ascensore sociale? Abilità, affidabilità e furbizia (quest’ultima in dosi molto maggiori delle altre due) sono le funzioni di spinta che muovono verso l’alto chi si trova, nasce o cade in basso nella scala sociale. Dimostrazione pratica? Una del tutto originale la offre il film “Modalità aereo” diretto da Fausto Brizzi e prodotto da Luca Barbareschi, per l’interpretazione tra gli altri di Lillo e Violante Placido. La comicità social-popolare di cui il teatro è maestro e che si ispira al motto “Scherzando scherzando Pulcinella diceva sempre la verità” (come conferma il Fool di Shakespeare nel Re Lear), possiede varie figure retoriche codificate e atipiche. E queste ultime giocano sull’inventiva e sull’imprevedibilità presenti nelle corde e nell’umanità di autori e attori, per i quali l’abito giusto, la maschera fusa a misura sul proprio volto di istrione per rappresentarla sulla scena assicurano il successo o l’insuccesso, decretano il carisma o l’antipatia, difetto quest’ultimo contro cui nulla può la bravura. Qui i poveri dignitosi, hanno un impiego stabile bas-de-gamme (tipo l’idraulico polacco che tanto spaventava gli elettori francesi ai tempi dell’allargamento a Est dell’Unione) presso una ditta di pulizia che ha in appalto il servizio relativo nell’aeroporto romano di Fiumicino.

L’altro, o meglio gli altri figli del privilegio per nascita, sono Diego (Paolo Ruffini) un manager miliardario in euro, arrogante e maleducato, amministratore delegato di una delle maggiori aziende vinicole italiane, e suo cugino Lorenzo l’infame (Luca Vecchi), immersi come gamberi oceanici nelle acque profonde della globalizzazione dominate dagli squali-tigre asiatici. Poi, c’è lei, la hostess Linda (di nome e di fatto), interpretata dalla bella e ancor più brava Violante Placido, che con gran classe ed educazione irride al molto ricco, ma gli tende una preziosissima mano amichevole quando un destino in vena di scherzi lo rende povero ed esposto al pubblico ludibrio, affondato nel fango planetario delle fake news che non mancano mai, in un’epoca come questa degli odiatori seriali e dei politically correct radical chic che con i loro rigurgiti disinformati generano giganteschi equivoci e ancor più macroscopiche ingiustizie. È allora che le parti però si invertono: chi è molto più su nella scala sociale viene eticamente retrocesso all’ultimo gradino da chi, guardato dall’alto verso il basso con un arrogante ghigno di disgusto, antepone il bene supremo dell’amicizia al pur giusto rancore e risentimento.

Così Ivano (Pasquale Petrolo detto Lillo), il pulitore di gabinetti, dà a Diego una splendida lezione di paternità “surrogata” riedificandolo agli occhi del figlio, con una buona dose di giochi di prestigio via smartphone. Come d’altra parte farà il suo collega, il simpaticissimo Sabino (Dino Abbrescia) nativo di Puglia che batterà la memoria del telefonino smarrito con il suo quadernino da due euro. Ovviamente, anche qui il bene trionferà sul male in modo assolutamente “carambolesco” e rocambolesco degno del teatro dell’assurdo (tipo: “tirati giù le mutande e fammi vedere quanto ce li hai grandi”, parlando dei famosi attributi pendenti maschili), in cui ogni forma di ragionevole buonsenso viene superata dalla dissacrazione della follia. Rendendo tra l’altro del tutto inutile, attraverso le tecniche consolidate del Grand Guignol, il tentativo “canonico” e goffo di Diego che, sprovvisto della magica pilloletta blu, corredo amatorio indispensabile per ogni vip super stressato, fallisce una conquista facile facile per ritardare il default della sua azienda. Poi, balla un bel walzer vertiginoso anche l’amore coniugale nella figura di Maria (Caterina Guzzanti), moglie infertile di Ivano, che tenta di passare dal tradimento virtuale a quello reale. Insomma, con finale a doppia sorpresa, un film molto gradevole e ironico all’italiana maniera.

 

Aggiornato il 15 febbraio 2019 alle ore 18:05