Enigma pubertà. Senza quasi timone, a quell’età, dove ti porterà la barca incerta della tua sensualità e sessualità quando la sola bussola dell’istinto non sarà più sufficiente a definire la rotta? E come gireranno le probabilità relative dell’identità sessuale dentro un modello genitoriale in cui domina una figura maschile di padre-padrone manesco, nei confronti di una madre che non si è mai rassegnata a vedere fuori dal suo utero l’ultimo nato, Jonah, il piccolo protagonista? Il film “Quando eravamo fratelli”, nelle sale dal 16 maggio, diretto dal documentarista Jeremiah Zagar (co-sceneggiatore con Daniel Kitrosser), racconta la storia di tre fratelli adolescenti inseparabili, Manny, Joel e Jonah, che vivono in una zona arretrata degli Stati Uniti chiamata Utica, figli di un padre portoricano e di una madre italo irlandese, a loro volta divenuti genitori quando erano adolescenti. Lui, uomo autoritario ma affettuoso a modo suo, che fa i turni di notte come guardiano di un deposito di periferia e si vede a volte costretto a far dormire i suoi tre ragazzini in un ambiente di fortuna e senza autorizzazione, quando anche la moglie è costretta a lavorare di notte. Lei, operaia addetta alla catena di montaggio in una fabbrica di birra, che si uccide di fatica per mantenere casa e figli, salvo poi a lasciarsi completamente andare a un’apatia mortale da animale ferito al momento della separazione temporanea dal marito abbandonando i figli piccoli a se stessi, lasciati digiuni e con la casa in completo disordine.

Ma l’infanzia ha risorse infinite per sapersela cavare anche in condizioni estreme prendendo a carico la propria sopravvivenza appena alle soglie del periodo puberale, tra i dieci e i tredici anni d’età. Così un locale della loro casa, ingombro di materiali di scarto, scatoloni e oggetti in disuso accatastati alla rinfusa, diviene un meraviglioso centralino immaginario in cui, al colmo dell’abbandono durante una violenta lite e successiva separazione pro tempore dei genitori, giocano a rispondere al telefono parlando a un apparecchio disconnesso, mentre quello vero squilla senza sosta e senza risposta da parte della loro madre atonica e del tutto assente. Oppure, al culmine della carenza affettiva, per darsi coraggio i tre ragazzini si inventano una tenda ergodica alla Steiner, coprendosi le teste sotto un lenzuolo e scambiandosi così un flusso immaginario di energia. In modo inconscio, il lungometraggio di Zagar costituisce una quasi perfetta applicazione delle teorie di Rudolf Steiner sull’apprendimento infantile e adolescenziale in cui le materie artistiche, l’amore per la natura, l’intelligenza manuale, l’apprendimento quasi esclusivo per immagini che hanno i bambini e il ruolo delle fiabe costituiscono altrettanti aspetti fondamentali nella loro formazione verso l’età adulta e cosciente.

Così i tre fratelli vivono allo stato brado (“We the Animals” è il libretto di Justin Torres al quale si ispira il film) la natura e il rapporto con l’acqua del torrente che scorre vicino alla loro casa, mentre durante la notte i due più grandi dormono perennemente abbracciati e Jonah si rifugia sotto la personalissima tenda ergodica del suo lettino con la torcia in mano, i pastelli dall’altra e l’album dispiegato sul pavimento per dipingere gli inquietanti scenari vissuti durante la sua vita diurna. Da questa rete fittamente intrecciata e apparentemente disordinata si ricompongono con bellissime animazioni le straordinarie immagini del “Caos deterministico”, sintetizzando le oscillazioni quasi nevrotiche della macchina da ripresa a spalla che insegue i passi dei protagonisti, immortalati poi anche in primi piani densi di pathos. E tutte le scene sono accompagnate da un sottofondo ossessivo privo di musica e fin troppo denso di rumori al naturale ricolmi e rigurgitanti di sussurri e grida di adulti e ragazzini. Il senso del racconto si concentra nei tentativi di Jonah di baciare la madre con il volto tumefatto per le percosse ricevute dal marito e in quello analogo concentrato sulle labbra di un bellissimo efebo, il suo amico più grande, che lo ospita nel suo ambiente squallido dove una tv sempre accesa proietta da un vecchio videoregistratore le scene pornografiche di amplessi etero e omosessuali. Che cosa sceglierà Jonah alla fine, distanziandosi dal modello violento del padre al quale si adegueranno alla perfezione i suoi fratelli più grandi, separandosi così definitivamente da lui?

 

 

Aggiornato il 03 maggio 2019 alle ore 20:10