Un amore impossibile tra due lesbiche di etnia Rom. Non accettate dalla loro stessa comunità prima che dal resto del mondo. O la caccia all’assassino del padre scrittore e politico della dissidenza a Medellin che parte da una possibile storia d’amore con il sicario. È la cultura latino-americana e spagnola che ama i paradossi – tanto cari al regista Pedro Almodovar, per citarne uno tra i tanti – quella che si sta vedendo a Roma in questi giorni (fino all’8 maggio compreso) al cinema Farnese.

Trattasi, avrete capito se seguite gli scarni eventi della capitale dell’epoca grillina, della dodicesima edizione del Festival del cinema di lingua spagnola. Lo sguardo come spesso accade è sul “sociale”: dalle dittature latino-americane degli anni Settanta e Ottanta, ai diritti Lgbt e ai temi di più scottante attualità, con ampio spazio dedicato a opere prime e seconde e a registe donne. Un aiutino culturale anche contro il populismo all’europea. Ma l’obiettivo e il montaggio dei registi non sono caratterizzati dal solito scontato piagnisteo. E infatti l’inaugurazione della kermesse, giovedì 2 maggio, aveva proposto l’anteprima italiana di “Yuli”, lungometraggio di Icíar Bollaín (noto per film come “Te doy mis ojos”, “También la lluvia” e “El olivo”), alla presenza della stessa regista.

Il film, che sarà distribuito in autunno in Italia da Exit Media, aveva già vinto il premio come miglior sceneggiatura all’ultimo festival di San Sebastian per Paul Laverty.

“Yuli” ruota intorno all’incredibile vita di Carlos Acosta, in arte Yuli, una leggenda vivente della danza che da piccolo si rifiutava di ballare. Obbligato dal padre che vuole dargli un’opportunità per lasciare una Cuba attanagliata da decenni di embargo, giunse poi al successo mondiale diventando un performer paragonato a miti quali Nureyev e Baryshnikov. Insomma il festival della lingua spagnola e della Spagna fa i conti con l’altra faccia della luna, il Sud America, lungi dal potere essere paragonata a una colonia, anche se spesso l’atteggiamento di Madrid è stato quello di chi considera il tutto come un enorme cortile di casa. Un cortile in cui i conquistadores fecero a lungo i propri comodi e nel quale oggi i loro eredi cercano di riparare i danni di un malinteso terzo mondismo che fu la reazione dalla metà del secolo scorso a oggi a quella dominazione. Così oggi il cinema e la cultura danno spazio ai drammi del dissenso delle dittature, quasi tutte militar populiste, pur nella diversa declinazione “de destra” o “de sinistra”. Il complesso di colpa che la vecchia Spagna ancora nutre verso il vecchio Sud America emerge quando meno te lo aspetti.

E oggi, nell’era di Papa Bergoglio, del simonbolivarismo applicato e dei diritti umani alla portata di tutti, nell’area ispano hablante, ecco i fantasmi del passato che ritornano sotto la forma del paradosso, della tragicommedia o della parodia.

Inutile precisare che questa dodicesima edizione del Festival (curata a livello mediatico del leggendario studio Reggi, Spizzichino, Dutto) è stata organizzata da Exit Media e che riceve il sostegno dell’Ambasciata di Spagna in Italia, della Regione Lazio, dell’AC/E (il corrispondente spagnolo del Mibact), della Reale Accademia di Spagna a Roma e dell’Instituto Cervantes, nonché della Rai come media partner.

Aggiornato il 06 maggio 2019 alle ore 11:36