Premio letterario di Roma, vince “La tigre di pietra”

lunedì 3 giugno 2019


Alla serata di gala del Premio ci sono tutti. Anche quest’anno, il patrocinio delle istituzioni non si è fatto mancare. Il Premio letterario di Roma “Il Telescopio” premia, per il 19mo anno consecutivo, le eccellenze letterarie che meglio hanno saputo incarnare, nelle loro pagine, i caratteri poetici della Capitale. Questa edizione, dedicata alla creatrice storica del premio, la scomparsa Sara Morina, ha avuto anche una grande partecipazione, come si è visto nella sala del teatro San Timoteo di Casalpalocco. Come ricordò la stessa Morina, durante l’edizione del 2017: “… chi si esprime attraverso la narrativa e la poesia deve essere preso in considerazione, valorizzato, apprezzato e incoraggiato”. Ogni anno c’è una buona partecipazione degli studenti delle scuole romane, segno che il premio è vissuto in maniera massiva dalle giovani promesse letterarie, solleticando il loro intelletto ed emozionando i loro cuori. Tra i premiati, anche il “poeta dell’amore” Domenico Annunziato Modaffari, che ha deliziato i presenti con una toccante interpretazione poetica.

Il primo premio quest’anno è stato assegnato a un autore poco più che trentenne, Danilo Campanella, di formazione filosofo e storico, al suo terzo “esordio” di narrativa, come ha voluto simpaticamente, ed anche umilmente, ricordare lui stesso. La giuria ha premiato il suo romanzo, un noir ambientato a Roma, dal titolo “La tigre di pietra” ed edito da marchio editoriale Asylum, specializzato in narrativa di genere.

Tra i volti meno noti della letteratura italiana, Danilo Campanella è autore di dici libri, per lo più saggi di natura filosofica e politica. Articolista, booktuber, ed anche critico letterario, Campanella ha saputo incarnare il fascino pasoliniano di Roma all’interno di una storia lugubre ed appassionante. Ne “La tigre di pietra” il cadavere di un uomo, trovato morto nei pressi della Stazione Termini, mette in moto un’indagine che si rivela sempre più complicata. Il numero dei cadaveri cresce, tutti assassinati secondo le stesse modalità, tutti con una lama e tutti a mezzanotte. La mano che guida le morti sembra appartenere a un uomo mascherato, con un lungo mantello nero e guanti bianchi che indossa la maschera veneziana del medico della peste. Tutti i cadaveri vengono ricondotti al famoso psicanalista Antony Bird, l’unico che conosce i segreti e le abitudini degli assassinati, tutti suoi ex pazienti. Con la poliziotta Francesca Pace si mettono sulle tracce dell’assassino, arrivando a una incredibile scoperta finale. Il romanzo, pubblicato quest’anno, ha avvinto la giuria, forse perché descrive una Roma dai tratti cupi, una vecchia signora e stanca i cui abitanti arrabbiati oscillano come ignavi nei quartieri, nella metro, sulle strade, come dannati nelle malebolge di un inferno dantesco.

Contrariamente ad altri autori noti, maestri, a vario titolo, della “suspense oriented” come Giancarlo De Cataldo, Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli, Danilo Campanella inserisce nelle sue narrazioni dei simboli che il lettore può cogliere e non cogliere, e che lo riportano allo stato onirico della vita del lettore stesso, facendolo entrare, come in un sogno, all’interno della storia narrata. Ne è un esempio l’inizio del romanzo, quando il lettore percepisce una dissolvenza, un nero, un vuoto, che lentamente si allontana fino a “inquadrare” la bocca aperta (tipico simbolo sessuale) di una donna, una comparsa, spettatrice di uno spettacolo teatrale. Tutto il libro si muove su archetipi e simboli, colori, musiche, care al miglior Alfred Hitchcock e che smuovono nel lettore emozioni contrastanti, sostituendo alle domande riguardanti il finale del libro con domande riguardanti se stesso.


di Maria Antonietta Lanfranchi