La notte della sinistra raccontata da Federico Rampini

mercoledì 5 giugno 2019


Federico Rampini nel suo ultimo libro, approdato nelle librerie con il titolo suggestivo La notte della sinistra, edito dalla Mondadori, offre al lettore in un racconto molto coinvolgente, una prospettiva ampia e vasta per capire la crisi della sinistra occidentale e delle liberaldemocrazie europee. Con un tono elegiaco ricorda un tempo, oramai remoto, in cui il popolo e la sinistra si identificavano ed erano la stessa cosa. Per i commentatori, che seguono l’ideologia del politically correct, in Occidente, a causa della presenza dei movimenti sovranisti, si sta diffondendo una peste nera, metafora che indica il rischio che un nuovo fascismo si affacci all’orizzonte e incontri il favore delle masse, impaurite e preoccupate dal futuro incerto e pieno di insidie.

Per quale motivo la sinistra, in presenza di un fenomeno di proporzioni inedite e nuovo come quello dell’immigrazione, è incapace di parlare della paura delle masse, quasi che fosse un tema di destra? Per i seguaci del politically correct bisogna sempre ed in ogni caso difendere gli ultimi, in questo caso gli immigrati, e non prendere in considerazione quanti fra i cittadini subiscono i disagi dovuti all’insicurezza, che esiste nelle periferie delle grandi città, abbandonate dallo Stato. Rampini ricorda che in Francia, quando nelle banlieue (periferie) delle grandi città francesi comparvero i primi insediamenti di massa degli immigrati, il Fronte nazionale ottenne un vasto consenso popolare. In quel caso, tuttavia, anche se le vittime della rabbia degli immigrati erano gli operai francesi, si sostenne nella sinistra dell’epoca che bisognava accettare la presenza degli stranieri, per espiare le colpe dell’uomo bianco risalenti al periodo del colonialismo e alle politiche imperiali del passato.

Rampini, da studioso della democrazia americana, dove vive da anni, osserva che sia a tempi di Roosevelt sia durante la presidenza breve di Kennedy, periodo storico che si avvicina alle politiche socialdemocratiche, i flussi degli immigrati erano disciplinati con regole severe e il controllo delle frontiere era rigido. Una società multietnica per funzionare ha bisogno di un grado di coesione che eviti i conflitti. D’altronde la presenza degli immigrati in Svezia, che pure hanno beneficiato delle politiche sociali, ha prodotto, in mancanza di regole certe, tagli notevoli e consistenti al Welfare State. Per effetto della ideologia politically correct, l’idea stessa di nazione è incivile e barbara ed è divenuta sinonimo di una visione reazionaria della società.

Nel libro l’autore, in modo imparziale, ricorda che il muro al confine con il Messico, oggi associato alla presidenza Trump, venne iniziato ai tempi della presidenza di Bill Clinton. Richiamando un’espressione che ricorre spesso quando si parla di immigrazione, “Aiutiamoli a casa a loro”, Rampini osserva che l’Etiopia, con cui il nostro Paese ha legami storici profondi, grazie alla politica del premier Abiy Ahmed Ali, nel Nord Africa sta vivendo una fase di crescita economica notevole. Infatti, in questo Paese la Cina, in base alla politica della Via della seta, ha investito capitali per realizzare le infrastrutture necessarie per la modernizzazione economica.

 E questo è un fatto importantissimo per capire come potrebbe mutare la condizione economica del continente africano. L’analisi nel libro della politica seguita da Donald Trump è straordinaria per chiarezza e profondità. Trump, paragonato ad un torero che agita un drappo rosso e istupidisce la sinistra, decide di ritirare le truppe sia dalla Siria sia dall’Afghanistan: un fatto rilevante che cambia la politica Usa, nazione che non vuole più recitare la parte del gendarme del mondo. Al cospetto di una novità di questa importanza, la sinistra occidentale, accecata dal suo furore contro l’impero americano, è costretta ad allinearsi, assumendo una posizione favorevole agli interessi di Putin, Assad e soprattutto della Cina, che tende ad estendere la propria sfera d’influenza geopolitica su diverse aree del mondo.

A questo proposito, Rampini ragiona intorno ad un peggioramento del clima internazionale, che spiega la decisione di Trump di non rispettare il trattato di non proliferazione delle armi nucleari di media gittata. La necessità di introdurre i dazi da parte della amministrazione di Trump verso la Cina si spiega con la circostanza che le regole sono palesemente inique e squilibrate a vantaggio del sistema economico cinese. Quando, tra il 1999 e il 2001, si ebbe l’ingresso della Cina nell’organizzazione del commercio mondiale, periodo in cui la globalizzazione conobbe un ulteriore sviluppo, poiché l’economia cinese era sottosviluppata, venne disegnato un sistema di regole per favorirne la crescita. Da qual periodo, queste regole sono rimaste immutate e non sono mai state modificate.

Questi elementi sono all’origine del conflitto commerciale tra gli Usa e la Cina. La sinistra occidentale non vede che, in presenza di questi fatti nuovi, gli equilibri si spostano e mutano le relazioni geopolitiche tra i maggiori Paesi. Infatti, l’egemonia economica della Cina nel contesto internazionale prese l’avvio subito dopo l’inizio della crisi economica del 2008, quando la dirigenza comunista di Pechino si convinse della superiorità del suo modello economico, espressione di un sistema politico autoritario, sulla liberaldemocrazia occidentale. Rampini, in questo saggio denso di idee e analisi profonde e utili per comprendere il disordine globale del nostro tempo, si chiede se quanti si dichiarano europeisti convinti non si rendano conto dei limiti della politica dell’austerità, imposta all’intera Europa dai tedeschi, in nome dell’ideologia dell’ordoliberismo, responsabile del fatto che i governi sono eterodiretti dai mercati finanziari.

Bisogna risalire agli anni Ottanta, poiché la crisi di oggi affonda le sue radici nelle politiche economiche che in quel periodo vennero attuate e che spiegano l’aumento delle diseguaglianze sia in America sia in Europa. In seguito, arrivarono i leader che teorizzarono la terza via, come Bill Clinton, Tony Blair e Gerard Schroder, la cui conseguenza fu riconciliare i progressisti con il libero mercato. La terza via ha comportato la conseguenza che vi fossero meno vincoli, una minore pressione fiscale sui super ricchi e i privilegiati, con l’inevitabile crisi del Welfare State. Un libro utile per capire i problemi politici del nostro tempo.


di Giuseppe Talarico