“M, Il figlio del secolo”: un romanzo notevole

lunedì 14 ottobre 2019


Per i critici e gli studiosi il libro di Antonio Scurati M, Il figlio del secolo, edito dalla Bompiani e a cui è stato attribuito il Premio Strega di questo anno, ha colmato un vuoto esistente nella nostra letteratura. Infatti, con una narrazione letteraria ammirevole per l’eleganza dello stile e per la capacità di rappresentare la genesi e l’affermazione del fascismo in Italia, a di là di alcuni errori di carattere storico notati da Ernesto Galli della Loggia in un suo articolo, Scurati ha scritto un romanzo notevole e fondamentale. Non è una semplice biografia su Benito Mussolini, ma un racconto coinvolgente sui protagonisti di un periodo fondamentale della storia nazionale.

In primo luogo l’autore mostra come fosse stata considerata fondata la espressione coniata da Gabriele D’Annunzio, dopo la fine della Prima guerra mondiale, a proposito della vittoria mutilata dalle masse popolari. L’Italia non aveva ottenuto la Dalmazia e gli ex combattenti, alcuni mutilati e con la vita distrutta, si sentirono per questo motivo giustamente ingannati. Questo sentimento collettivo, non solo alimentò il furore nazionalista ma esacerbò gli animi nel paese, favorendo l’adesione ai fasci di combattimento fondati nel 1919 in Italia da Mussolini. Dalle colonne del suo giornale, Il Popolo d’Italia, Mussolini seppe interpretare l’animo proletario e dei reduci della grande guerra con una abilità sorprendente e straordinaria.

John Maynard Keynes, il grande economista, aveva denunciato con un suo libro la conferenza di Versailles, poiché aveva capito che la democrazia liberale era vulnerabile e rischiava, per i problemi legati alla definizione dei confini dopo la fine della guerra, di capitolare e collassare in Europa. Nel libro è bello e indimenticabile il modo con cui l’autore descrive il clima esistente in Italia nella vita politica e culturale. Filippo Tomaso Marinetti nel 1909 aveva fondato il primo movimento di avanguardia inneggiando alla modernità basata sul ripudio della eredità del passato e della tradizione classica.

I rapporti tra Mussolini e D’Annunzio, che il futuro Duce conobbe grazie alla intercessione della storica dell’arte Margherita Sarfatti, collaboratrice del suo giornale, sono forse la parte più bella e interessante del libro. Margherita Sarfatti ebbe un ruolo chiave nella formazione culturale e politica di Benito Mussolini. D’Annunzio, vagheggiando la assegnazione di Fiume e della Dalmazia all’Italia, per un breve periodo diviene il governatore di questa città. Proprio a Fiume, per la prima volta, un uomo politico si rivolse alla massa popolare, inventando una nuova modalità di comunicazione politica. Per questo motivo, osserva lucidamente Scurati, la scena mutò radicalmente, la quarta parete crollò con l’impresa di Fiume ed il pubblico venne chiamato a partecipare al governo del regno, divenendone protagonista. Questo modo di comunicare con le masse, destinate a divenire il soggetto protagonista della storia del novecento, con lo sviluppo della società industriale e della comunicazione, avrà una grande influenza su Mussolini.

D’Annunzio, che ferito in una missione aerea aveva in seguito composto il celebre Notturno, comprese che la guerra vinta aveva lasciato nelle masse, animate dal furore nazionalista, sentimenti di scontento e di grande delusione. Nel 1919, presentatosi alle elezioni con i fasci di combattimento, Mussolini non venne eletto e sembrava destinato a non avere un futuro politico. Tuttavia, e l’autore ha il merito di mostrarlo nel suo libro con grande bravura letteraria, la guerra civile europea, generata dalla rivoluzione russa del 1917, produsse laceranti divisioni in Italia.  Per Mussolini, la scelta è semplice. Infatti non gli sfugge che la civiltà borghese ha alle spalle una storia di secoli durante i quali è stato favorito il progresso umano, mentre quella proletaria vanta ancora una stagione breve di follie e inesperienze e di velleitarismi inconcludenti. Le Leghe rosse, nel famoso biennio degli anni venti, riuscirono ad imporre agli agrari condizioni tali da privarli del diritto di proprietà.

Le fabbriche vennero occupate con azioni mia viste prima e Giovanni Giolitti, lo statista piemontese del periodo liberale, si rifiutò di reprimere le rivolte operaie con la forza. Nel libro viene mostrato il modo in cui la paura, mentre la violenza dilagava inarrestabile nei luoghi di lavoro e nelle città e brutalizzava la lotta politica, si impadronì della Borghesia, che temette l’avvento della rivoluzione. Con il trattato di Rapallo si concluse la vicenda di Fiume, con l’Italia che rinunciò alla Dalmazia. Giolitti, per normalizzare la lotta politica e impedire la prosecuzione degli scontri violenti tra i fascisti e i rossi, nel 1921 aprì le liste liberali agli esponenti dei fasci di combattimento. In questo caso per Scurati viene alla luce il famoso Bi-pensiero di Mussolini, il quale, pur di trasformare i fasci di combattimento in un partito ed entrare in parlamento, si alleò con gli esponenti politici dei ceti che aveva sempre avversato.

Entrato in Parlamento, Mussolini accuserà Giolitti di arrendevolezza e di avere rinunciato alla grande a cui l’Italia è destinata. Prima della marcia su Roma del 1922, vi fu la denuncia di Giacomo Matteotti dei metodi di lotta seguiti dai fascisti, inclini a ricorrere alla violenza pur di eliminare gli avversari politici. Nel libro è memorabile e indimenticabile il ritratto di Giacomo Matteotti, il quale, pur provenendo da un ceto borghese, scelse di militare nel Partito socialista, di schiararsi con i riformisti, consapevole che solo con una lotta lenta e immensa e graduale era possibile redimere i ceti operai dalla oppressione di classe. Matteotti, prima di essere ucciso con brutalità da una squadraccia fascista, aveva compreso che il fascismo nato come soggetto antipartitico, anticlericale, rivoluzionario, si era trasformato in un partito conservatore, monarchico, armato di un proprio esercito ed alleato con la borghesia agraria e industriale, a cui inizialmente si era opposto.

Georges Sorel, teorico del mito della violenza, una volta sostenne che Mussolini non era un uomo politico meno straordinario di Lenin, poiché era stato capace di inventare qualcosa di nuovo: l’unione del nazionale con il sociale. Un libro da leggere notevole che mostra come avvenne la crisi dello Stato liberale e la nascita del regime fascista in Italia.


di Giuseppe Talarico