Joker: ma il mondo non è Gotham City!

Il film Joker del regista Todd Phillips? Come dice il nome, un complicato gioco di passe-passe tra i vari livelli sovrapposti di realtà, follia e psicopatologia la cui chiave di volta è racchiusa nel fonendoscopio di due figure femminili: l’assistente sociale e la psichiatra che aprono, o semplicemente schiudono le porte che separano l’incubo e la paranoia dalle manie di persecuzione e da un sociale costruito sull’esaltazione aberrante della marginalità. Decisamente un gran brutto film. Giudizio il mio che va nettamente in controtendenza rispetto al mainstream. Tranne che per un dettaglio: Joaquin Phoenix è da Oscar. Senza dubbio alcuno.

Il protagonista vive prigioniero di uno stratosferico complesso di Edipo, che passa dall’accudimento estremo alla più selvaggia decapitazione di quel sentimento già di per sé estremamente problematico. Il tutto, intrecciato dal filo conduttore di una paternità misconosciuta proveniente da un lontano passato, in cui la storia ricorda da vicino ma con esito opposto quella del bellissimo film, Sir, Una cenerentola a Mumbai che esplora in modo molto raffinato le sfumature di una tresca tra domestica e datore di lavoro. Nel caso di Joker fa della sventurata serva una madre single che decide di tenere e crescere il figlio illegittimo in un ambiente familiare degradato e violento.

La follia indotta di Joker da parte di sua madre fa sì che il protagonista viva un’aspettativa di riconoscimento della paternità da parte di un uomo potente del tutto priva di senso pratico, in questo assolutamente coerente con la psicopatologia di Joker. E qui entra in scena, orientato da una direttrice sghemba ed estraniante da parte della regia, un aspetto per così dire politico, che fa di Joker un giustiziere per caso, le cui tre vittime iniziali sono annoverabili in quel gruppo choosy dei piccoli gnomi della finanza speculativa, da cui nasce per induttività una folle solidarietà popolare in base a un mascheramento di massa, sotto il cui travestimento passa la legittimazione di ogni sorta di violenza urbana, dal saccheggio al linciaggio di appartenenti alle forze dell’ordine, alla devastazione di beni pubblici e privati.

Tristemente, anche l’amore redentivo qui ha un côté fake assai malato e maldestramente elaborato, che si esalta nell’apprezzamento di show comici privi di testo che risuonano vuoti come altrettanti tronchi cavi. Nemmeno a cercare, insomma, una condivisione empatica dello spettatore per un genio e un talento incompreso. No: niente di tutto questo.

Non solo Joker è un guscio vuoto in assoluto, dal punto di vista della comicità: si arriva a farne persino un serial killer per farlo impattare violentemente e gratuitamente con il mondo inquinatissimo dei talk show, catapultandolo senza capo né coda in un programma comico gestito da un conduttore che non riesce a far ridere nessuno. L’incapacità obiettiva della regia di costruire tutto attorno al suo personaggio quel guscio di pathos che avrebbe ispirato le complicità di un pubblico emotivamente coinvolto, fa sì che tutti gli atti violenti siano a impatto zero nel corso della narrazione dei fatti, dei quali è perennemente incerto il discrimine tra vero e falso, tra immaginario e incubo.

Insomma, il film sempre molto lento e farraginoso funziona come una centrifuga impazzita, in cui si gettano alla rinfusa ingredienti presi da altre produzioni (ricordate quella storia in cui un ragazzotto rovinato da un’avventata speculazione in borsa, suggeritagli da un king-maker di un talk di finanza popolare, riesce a penetrare nello studio televisivo con un giubbotto esplosivo?), per cercare di sistemare sul podio più alto della miscela verosimiglianza-follia un protagonista dislessico che non ci fa né pena, né orrore. Il giorno dopo la visione ci si interroga su che cosa si sia visto e sul fondo della gamella dei pensieri a posteriori non rimane la benché minima traccia di emozione.

Aggiornato il 13 novembre 2019 alle ore 13:06