Che cosa accade se Equivocare fa rima con Amare? Semplice: quello di offrire uno spunto vitale per mettere in scena lo spettacolo prenatalizio Fino alle stelle, che la coppia musicale Agnese Fallongo e Tiziano Caputo ci propone con la consueta bravura e simpatia al Teatro della Cometa di Roma fino al 15 dicembre. La loro, nella finzione come (forse) nel reale, è una storia d’amore e di carriera che racconta le vicissitudini di un formidabile duo vocale, partito dalla Sicilia e approdato in America nella New York della seconda metà del Novecento. Fame e fatica. Briganti e corteggiatori per lei, mentre lui non pensa che alla musica e a mettere un po’ di ordine alla loro fame atavica, accettando di esibirsi nelle osterie pur di avere un pasto caldo.

Innamorati persi che stentano sempre a riconoscersi, scambiando per timidezza o eccessivo pudore un vero colpo di fulmine con la riduttiva reciproca attrazione artistica più forte in lui, giovane cantastorie dialettale di canzoni folkloristiche e tradizionali siciliane, verso di lei che passando per caso nella piazzetta in cui si esibiva si fa catturare dal suono della chitarra per unire la sua bellissima voce a quella del musico viaggiante. Per confondere le acque e iniettare una buona dose di pathos, la prima scena inizia dall’ultima: due aspiranti suicidi che però si conoscono benissimo si incontrano fortuitamente sul ponte della nave che dall’America li riporta in Italia, con lui che tenta disperatamente di trattenere lei dal salto nelle onde.

Ed è così che li vediamo litigare furiosamente, come avevano sempre fatto in fondo sulla terraferma, come ci racconteranno loro stessi. Del resto, dice un detto delle nostre parti: “L’amore è bello quando è litigarello”. I loro inizi hanno come sfondo la Sicilia povera di un piccolo centro di pescatori sulla costa. L’incontro casuale e poi la fuitina artistica sulla falsariga di Niente sesso, siamo inglesi, tutto fair play e niente moine o corteggiamenti espliciti, che non siano quelli strettamente necessari per comporre le figure dell’affiatatissimo duo mentre interpreta scene mimate a partire dal testo richiamato nelle canzoni.

Grazie ai soldi (involontari!) di papà si parte dalla Sicilia con le diecimila lire dei risparmi di tutta una vita, per risalire lo Stivale con grande fatica e tante disavventure, che diventeranno futuri racconti accanto al focolare per i nipotini. Dal Sud al Nord, considerato “estero” da chi era sempre vissuto sull’isola sacra agli dei, imparando dialetti nuovi per comunicare empaticamente con gli spettatori paganti. Poi ci sono le città a confronto, in cui Palermo la normanna si confronta con i colori della Napoli borbonica, con il suo caos, la confusione che regna sempre sovrana e l’effervescenza delle relazioni sociali e dei rapporti umani.

All’opposto del Nord Italia, dove le “esse” sibilate o le parole sincopate della “O mia bella Madunnina” fanno rima con i costumi evoluti e la “voglia de lavurà” che è condizione necessaria e sufficiente per divertirsi grazie ai frutti del duro lavoro. Stavolta, rispetto agli spettacoli precedenti, il recitativo prevale sulla parte musicale, in cui i dialetti ancora una volta scorrono veloci come le dita sulle corde della chitarra, grazie alle modulazioni vocali e all’intonazione sempre perfettamente sincronizzata dei due bravi protagonisti.

Ma è l’America a giocare le rotture dell’equivoco affettivo, dove è solo lei, la femmina, ad ammaliare spettatori e impresari senza mai perdere di vista il suo amore di sempre. L’uomo, invece, si assume le sue responsabilità fraintese abbandonando il campo ai presunti rivali. Fino a che, anche per loro, come per il pianista sull’Oceano arriva il momento della verità che scioglie il dubbio amletico dell’“Essere o non Essere”.

Aggiornato il 10 dicembre 2019 alle ore 15:24