L’isola dei fucili di Amitav Ghosh

venerdì 10 gennaio 2020


L’ultimo libro di Amitav Ghosh, antropologo e scrittore tra i principali dell’India del nostro tempo, intitolato L’isola dei fucili, pubblicato dall’editore Neri Pozza, sorprende ed incanta il lettore, poiché con una narrazione colta ed avvincente descrive il problema del cambiamento climatico e i rischi che esso comporta per la sorte del nostro pianeta. Deen Datta è un commerciante di libri antichi e vive a Brooklyn. Deen, che è originario del Bengala, è ossessionato da una storia narrata in un poema epico, scritto nella lingua del suo paese. La dea Manasa Devi aveva perseguitato un mercante, che inspiegabilmente si era rifiutato di venerarla. Per questo motivo, il mercante dei fucili verrà morso da un serpente, ridotto in schiavitù, e solo dopo molte traversie riacquisterà la sua libertà. In seguito deciderà di edificare un tempio in segno di devozione verso la Dea. Il tempio verrà edificato nelle Sundarban, termine che si riferisce alle foreste di mangrovie del Bengala, dove è evidente simbolicamente il punto in cui si si determina il conflitto tra la natura ed il profitto.

Infatti, Deen comprende che la Dea impersona metaforicamente la natura, mentre il mercante la logica umana del profitto. Da questa premessa letteraria, che si riferisce ad un Poema epico della tradizione Bengala, ha inizio la narrazione. Deen lascia la città in cui lavora ed intraprende il viaggio per recarsi in visita in Bangladesh. Ricorda come questo Paese iniziò la sua guerra di indipendenza nel 1970, quando il ciclone Bhola aveva devastato il golfo del Bengala ed il Pakistan occidentale era rimasto inerte ed indifferente. Da questa catastrofe climatica era derivata la lotta politica di indipendenza, da cui nacque la nazione del Bangladesh. Dopo avere incontrato e dialogato con Nilina Bose, a cui si deve la creazione del Badabon Trust che gestisce una rete di scuole, cliniche e ospedali gratuiti a favore dei poveri in Bangladesh, Deen visita il tempio dedicato alla dea Manasa Devi. Costruito in pietra nella Sundarban, il tempio al suo interno sulle pareti rivela allo sguardo ammirato di Deen simboli raffigurati, in cui è evidente il riferimento alla storia del mercante dei fucili raccontata nel poema epico scritto in bengala.

A Los Angeles Deen partecipa, spinto dalla volontà di conoscere, ad un convegno sul cambiamento climatico. Nel diciassettesimo secolo, a causa di violente perturbazioni climatiche, si era avuto quel fenomeno definito dagli studiosi Piccola era glaciale. Quello fu il periodo in cui ebbe inizio l’illuminismo grazie alle opere di Thomas Hobbes, di Gottfried Wilhelm von Leibniz, di Isaac Newton, di Baruch Spinoza e Cartesio. Per il relatore della conferenza, a cui assiste Deen, fu allora che ebbe inizio la storia all’insegna del progresso scientifico che ci ha condotto alla catastrofe climatica del nostro tempo, quando cominciò la nostra dipendenza dai combustibili fossili. Deen, sempre alla ricerca di una spiegazione per i simboli che aveva visto nel tempio situato nella foresta, che verrà annientato e cancellato dall’acqua alta, ha un dialogo con una studiosa della storia di Venezia, Giacinta Schiavon, storica della inquisizione cattolica. Per la studiosa la costruzione del tempio risaliva al diciassettesimo secolo, quando ebbe luogo la Piccola era Glaciale.

I simboli in esso presenti si riferiscono al viaggio compiuto dal mercante per i suoi affari. Per raggiungere il mediterraneo, il mercante aveva dovuto attraversare l’Egitto. In questo posto vi era una grave crisi economica provocata da una lunga siccità. Per questo aveva dovuto trasferirsi in Turchia e stabilirsi ad Istanbul. In questa città la siccità prolungata, secondo il racconto della studiosa veneziana, aveva provocato degli incendi, la cui colpa venne ingiustamente addebitata agli ebrei. Poiché la Repubblica Veneziana nel 1516 con una legge aveva consentito agli ebrei di vivere e lavorare nel ghetto situato nella città, il mercante, la cui storia era raffigurata sulle pareti del tempio, si era stabilito in questa città. I due cerchi concentrici del simbolo effigiato sulle pareti del tempio si riferiscono a questa storia vissuta dal mercante. Infatti il Ghetto si trovava a Venezia in una isola separata dalle altre. Per la studiosa l’universo ci può parlare solo attraverso le storie, sempre che si sia disposti ad ascoltarle e ad interpretarne il senso univoco.

Questo spiega perché Shakespeare ha deciso di ambientare la storia del Mercante Shylock e Otello a Venezia. Per la studiosa di Venezia, detta Cinta, Manasa Devi era una negoziatrice, senza la sua opera preziosa di mediazione non sarebbero stati possibili i rapporti tra gli animali e gli essere umani, se non quelli dettati dall’odio e dalla aggressività. Le teredine sono creature che, presenti nella laguna di Venezia a causa del surriscaldamento delle acque, stanno erodendo le fondamenta di legno su cui la città è stata edificata e costruita, visto che si nutrono del legno dal suo interno. Deen, dopo avere svelato il mistero celato nei simboli presenti nel tempio che aveva visitato nelle foreste di mangrovie, incontra a Venezia Rafi, il giovane che già aveva conosciuto in Bangladesh. Il libro si conclude con Deen che insieme ad altri attivisti a Marghera accoglie una nave di rifugiati, che fuggono dai loro Paesi devenuti inabitabili a causa del cambiamento climatico. In fondo gli immigrati del nostro tempo seguono lo stesso itinerario del mercante di cui si narra la storia nel poema epico scritto in Bengala. Una narrazione mirabile per i suoi significati umani ed antropologici. La grande letteratura chiarisce la radice profonda dei problemi politici ed economici del nostro tempo, quali quelli del cambiamento climatico e della immigrazione.


di Giuseppe Talarico