“Hammamet”, un Craxi senza craxismo

martedì 14 gennaio 2020


Chi c’era ad Hammamet? Il presidente Bettino Craxi in esilio, ma senza la sua corte di nani e ballerini, come ci racconta Gianni Amelio nel suo film biografico sugli ultimi anni tunisini del più famoso segretario del Partito socialista italiano, successore di Pietro Nenni. La figura di Bettino è affidata alla sorprendente ed eccezionale interpretazione di Pierfrancesco Favino, mentre Livia Rossi impersona un’algidissima Stefania Craxi, cui fa da contro immagine Fausto (Luca Filippi) figlio del cassiere suicida del Psi, Vincenzo Balsamo (Giuseppe Cederna).

Il simbolo dell’effetto dirompente del craxismo nella palude immota della politica italiana è affidato a due immagini finali di vetri infranti: nella prima, un Craxi bambino e Pierino tira sassi con la fionda contro i vetri dell’edificio del collegio religioso che lo ospita; nella seconda, che corrisponde all’inquadratura finale, un sasso venuto da chissà dove frantuma un vetro dell’ospedale psichiatrico che ospita Fabio (una sorta di mancato Jaime Ramón Mercader del Río Hernández che fu storicamente l’assassino di Lev Trockij) al quale Craxi prima di morire ha fatto rivelazioni esplosive incise su una fantomatica cassetta videoregistrata.

La prima cosa che scopriamo della personalità di quel grande leader al tramonto è, da un lato, la sua grande affettività verso la figlia “Anita” e il figlio di lei, suo nipote. Dall’altro, la sconcertante bulimia autodistruttrice di Craxi per i dolci e la pastasciutta, mangiati avidamente di nascosto e puro veleno per la sua salute di diabetico grave che rischia l’amputazione del piede.

Il grande co-protagonista inerte è la villa di Hammamet con i suoi scenari, le terrazze e i giardini, nella quale continuano ad arrivare ospiti dall’Italia e personaggi politici di varia estrazione. Le confidenze dello statista sono raccolte di volta in volta dalla figlia e da Fausto, latore di una severa lettera di censura da parte del padre Vincenzo che, nelle inquadrature iniziali, aveva tentato di svolgere il ruolo di buona coscienza del partito, mettendo in guardia il suo segretario (che era stato appena rieletto con percentuali “bulgare” al Congresso del Psi del 1989, a pochi mesi crollo dei regimi dell’Est Europa) dalla corte di opportunisti e di profittatori che lo circondava e sui quali si stavano pericolosamente avvicinando i venti di tempesta delle accuse di corruzione, che si sarebbero poi materializzate tre anni più tardi con l’apertura della stagione di Mani Pulite.

Da quei processi, Craxi avrebbe riportato due condanne definitive (lui solo che pagava per tutti) che lo spinsero a guadagnare l’esilio per evitare il carcere. Bettino non si curò all’epoca di mettere ordine nel suo partito estromettendo gli infidi e i corrotti, in quanto li giudicava rematori di fatto necessari per condurre la pesante trireme del Psi all’approdo politico definitivo (un sistema liberaldemocratico a guida socialista) dell’unità tra i socialisti, con il fine di mettere definitivamente tra parentesi la scissione di Livorno e il Partito comunista, ormai delegittimato dalla caduta del Muro di Berlino.

A Craxi si fa dire che si entrava e si usciva dal carcere per volontà dei magistrati del Pool di Milano semplicemente non facendo o facendo i nomi giusti, i soli che gli inquirenti volevano sentire dagli accusati. E poi, i costi veri della politica che di certo comportavano iniziative non del tutto ortodosse nell’amministrazione dei flussi di denaro pubblico per sostenere le spese delle sezioni, dei convegni e i costi dell’apparato per far funzionare il sistema democratico.

Tuttavia, la scelta di Amelio si limita a descrivere aspetti molto intimi del periodo dell’esilio di Craxi ad Hammamet: i ricoveri ospedalieri, le cure per il diabete, la dettatura delle memorie a Stefania, le navette tra poltrone e divano, in casa e in giardino, una sporadica passeggiata senza scorta per le viuzze della città a trovare persone in stato di bisogno. Perché, dice il protagonista, la “gente” come si usa dire oggi non ha nulla a che vedere con il “Popolo”! Che cosa manca al film? Tutto: c’è solo il fantasma del Craxi politico. Manca il suo discorso al Parlamento di “Così fan tutti”; mancano soprattutto i ricordi autentici della vita del partito e le sue battaglie epocali per l’ammodernamento politico-istituzionale del Sistema-Italia. Quindi: di quale Craxi parliamo?


di Maurizio Bonanni