Direttiva primaria Ue: distruggere l’Italia

Mentre ci si occupa di inutili polemiche quali, se in pericolo di pandemia, salutare dandosi la mano – come facevano gli antichi romani, che si salutavano stringendosi reciprocamente gli avambracci – o con il “saluto romano”, che invece era riservato esclusivamente alle ovazioni popolari nei confronti dell’Imperatore o di un superiore gerarchico nell’esercito; passa quasi inosservato il tentativo effettuato dall’Unione europea di stabilire nuove le linee guida sullo stile architettonico da scegliere nella ricostruzione dei centri storici.

La proposta dell’Ue nei fatti limita i finanziamenti per progetti che non siano di design contemporaneo, il che equivale a impedire la costruzione o ricostruzione di qualsiasi edificio che riprenda stili e stilemi più antichi. Lo possiamo evincere meglio dal punto 16 della proposta: “Quando sono necessarie nuove parti/elementi, un progetto deve utilizzare il design contemporaneo aggiungendo nuovo valore e /o utilizzo nel rispetto di quelli esistenti”.

“Aggiungendo nuovo valore”. Ne siamo sicuri che ciò che viene sovrapposto sia un “valore”? Vogliamo “migliorare” i grandi architetti del passato, “estendendo il creato”? Vi supplico… abbiate pietà almeno di voi stessi! A volte mi sembra che i burocrati dell’Unione Europea, in realtà siano più simili ai Dalek, gli alieni distruttori di mondi, che deve affrontare il Doctor Who. Macchine senz’anima che gridano soltanto: “Sterminate!”.

Il “punto 16” consentirebbe, anzi favorirebbe la creazione di strutture architettoniche postmoderne, per esempio, in sostituzione delle parti distrutte recentemente di Notre Dame a Parigi. E non mi si venga a dire che Eugène Viollet-le-Duc abbia fatto lo stesso, perché chi dicesse una simile idiozia meriterebbe di essere ricacciato a scuola e rifare tutto il corso di studi dalle elementari.

Un altro esempio, sebbene forse leggermente meno invadente ma non molto, potrebbe essere in Italia quello prospettato per il progetto di restauro conservativo delle mura dell’arce della Rocca Brancaleone, a Ravenna.

È questa l’”idea” perversa e pervertitrice che ha consentito, anni fa, di porre quell’aborto di ferro e vetro nel pieno centro di Roma, sul tetto del palazzo dell’ex Unione Militare, a pochi passi dalla Chiesa di San Carlo al Corso; per tacere della scatola da scarpe dell’Ara Pacis o ancora dell’intervento di Odile Decq per il Macro, eseguito sullo storico Stabilimento della Birreria Peroni di Roma progettato a suo tempo da Gustavo Giovannoni. Continuiamo la carrellata con le fantascientifiche strutture di Zaha Hadid per il MaXXI, con lo sdrucciolevole ponte di Santiago Calatrava a Venezia… o preferireste, sempre nella Serenissima, il restauro di Rem Koolhaas al Fondaco dei Tedeschi? E tutto ciò per non restare sempre nello specifico della Capitale, in quanto la devastazione urbana riguarda tutta l’Italia e non solo.

Pensateci, pensiamoci, intanto saluto tutti, romanamente con un “ave” che se è stato detto a una fanciulla duemila anni fa, forse porterà un briciolo di speranza di salvezza anche per noi, in questo mondo di rovine, di mediocri e di incapaci.

Aggiornato il 05 febbraio 2020 alle ore 13:42