Fallo a Venezia, se vuoi

Li troviamo nell’antichità classica, in affreschi simbolici di età medievale o nelle miniature dei codici del tempo, li troviamo ovunque i falli nell’arte e tra tutti ricordiamo volentieri quelli magnificamente eretti di Pompei, o quelli vittoriani e in bianco e nero, di Aubrey Beardsley, che del membro maschile nel suo turgore fece vessillo elegante e insinuante in ogni pagina del suo Savoy del suo Yellow Book. La funzione apotropaica del fallo, ben nota sin dalle origini dell’uomo, il suo richiamo all’Eros e alla fertilità, sono un unicum con l’arte. Nessuno si scandalizzi, è in fondo in fondo, un “oggetto” d’uso quotidiano. E allora perché stupirci se, poche ore fa, addirittura in una delle più belle piazze d’Italia, Piazza San Marco a Venezia, un ignoto artista – certo memore del Souvenir d’Italie concepito dai goliardici zingari di Amici miei tanti anni fa – ha collocato sul pavimento della piazza dogale, la scultura di ben duecento chili raffigurante appunto un membro virile eretto con tanto di mascherina regolamentare. Un’installazione artistica direbbero i critici più all’avanguardia dell’arte contemporanea, una “provocazione” artistica potrebbero definirla altri, ma qualunque cosa essa sia, comunque vogliamo definirla, essa resta sempre un fallo maschile umano, scolpito nel marmo come la miglior statuaria greco-romana, collocato in pubblica evidenza.

Mascherato per di più. L’esibente organo marmoreo è inoltre stato ricoperto di scritte eseguite con un pennarello, richiamanti la “Fase 3”, coniugando così alla classicità dell’opera un certo intento dadaista. Insomma, lunedì mattina proprio davanti alla famosa Porta della Carta di Palazzo Ducale, l’artistica opera inneggiante alla virilità, è stata prontamente rimossa dai vigili della Serenissima. Dato il non proprio lieve peso dell’opera scultorea ci domandiamo intanto come abbiano potuto – i misteriosi esecutori – trasportarla e collocarla sul posto senza essere visti, oppure se visti, perché nessuno sia intervenuto. La prossima volta, invece di un fallo di marmo, qualcuno non così ben intenzionato avrebbero potuto installare una carica di esplosivo e tanti saluti a uno dei luoghi d’arte più preziosi del mondo. Non fatelo sapere in giro, mi raccomando, ché poi c’è chi copia le idee. Anche la più imbecilli.

Quanto al più o meno “mascherato” significato dell’opera, lascio al fantasioso e smaliziato, ancorché ironico lettore, il potersi sbizzarrire sulle intenzioni dell’autore e sul messaggio che egli abbia voluto trasmettere, considerando che sul basamento della scultura campeggia la scritta in lingua veneta Ciapaipaebae. Opera e azione di un goliarda dei nostri giorni? Di un erotomane in vena esibizionistica? Di una polemica artistica che ci dice di fatto quali modelli di encefali dobbiamo ritenere siano a capo di una nazione che si evira da sola con una politica fallimentare e suicida? Sarebbe facile produrre sul momento una congrua serie di battute triviali, ma noi che non amiamo l’ovvio, il banale e lo scontato, preferiamo evitare, limitandoci a sorridere, sarcastici, al genio malandrino di qualcuno che – artista forse no, ma certo umorista – ha deciso di irridere un Paese, o forse addirittura questo mondo, dacché Venezia è patrimonio universale, che si fa “uccellare” da personaggi spesso privi di reali attributi intellettivi e che cercano, sin troppo insistentemente, di usare atti di sodomia al popolo italiano, con la scusa di farlo per il suo bene. Forse nell’ultima parola potrei aver sbagliato una consonante. Perdonatemi, non vorrei essere stato colto in fallo.

Aggiornato il 21 maggio 2020 alle ore 12:32