Ungaretti e Raffaello, due super anniversari: mostre e iniziative editoriali

Pochi giorni fa, il 1 giugno, sono trascorsi esattamente cinquant’anni dalla morte, il 1 giugno 1970, di Giuseppe Ungaretti. Il poeta maturato nel solco del simbolismo e del novecentismo europeo (assimilati soprattutto nei lunghi soggiorni in Francia pre e post Prima guerra mondiale, alla quale partecipò sui fronti italiano e francese), l’intellettuale che, un po’ come Luigi Pirandello, al di là della sua criticata adesione al fascismo, contribuì fortemente, nel Novecento, alla diffusione della cultura italiana nel mondo, dall’Europa alle Americhe; il traduttore che, sin dagli anni Trenta, fece conoscere maggiormente in Italia le opere di grandi della letteratura come Shakesperare, Gongora, Esenin, Mallarmè. In occasione del cinquantenario dalla morte di Ungaretti, l’Associazione internazionale dei critici letterari ha pubblicato, nella Collana Saggi della Nemapress Edizioni, presieduta dalla scrittrice e giornalista Neria De Giovanni, il volume “Ungarettiana” (200 pagine, 20 euro): cui han collaborato 19 soci dell’Aicl, originari di Albania, Argentina, Francia, Spagna, Romania, Venezuela, e delle città italiane di Genova, Padova, Roma, Taranto, Pozzallo, Nuoro, Bari.

Entrando nei dettagli del volume (che rientra le poche – purtroppo – iniziative di rilievo previste per l’anniversario), Pierfranco Bruni, vicepresidente del Sindacato libero scrittori italiani, presidente del “Centro Studi e Ricerche Francesco Grisi” (l’altro intellettuale controcorrente fondatore appunto del Slsi, scomparso nel 1999), tarentino, inquadra la poesia di Ungaretti nell’ambito della cultura del Mediterraneo. Di quell’incredibile polo interculturale che è sempre stata Alessandria d’Egitto, infatti, era nativo – da genitori originari di Lucca – il poeta (alla pari, incredibilmente, di altri personaggi singolari come Filippo Tommaso Marinetti e il gerarca nazista Rudolf Hess); mentre a ottobre del ‘63, ormai molto anziano, volle partecipare, a Palermo, alla nascita del movimento di neoavanguardia letteraria, culturale e artistica noto come “Gruppo 63” (con nomi come Nanni Balestrini, Alberto Arbasino, Achille Bonito Oliva).

Neria De Giovanni, presidente dell’Associazione internazionale dei critici letterari, oltre a firmare l’introduzione al volume, nel suo saggio ricostruisce un episodio poco noto della vita di Ungaretti: l’incontro, una Domenica di agosto del 1935 a Cervia, con il Premio Nobel 1926 Grazia Deledda. La scrittrice – ricorda la De Giovanni – pubblicò un elzeviro sul Corriere della Sera, intitolato Agosto felice, raccontando la sua giornata festiva coronata dalla visita del poeta “alessandrino”: dopo la sua morte, nel 1939 l’articolo fu ripubblicato nella raccolta di scritti deleddiani Il cedro del Libano, ma il racconto viene interrotto prima della descrizione della visita ungarettiana. Particolare, questo, osserva Neria De Giovanni, di cui nessun critico ungarettiano, sinora, s’era accorto; alquanto strano, aggiungiamo, considerando che nel 1939 si era in pieno fascismo (Ungaretti, cioè, all’epoca docente universitario in Brasile, non era certo oggetto di ostracismo da parte del potere di allora; come invece gli sarebbe occorso – con toni veramente ingiusti, paragonabili a quelli toccati anche a Giovanni Guareschi – nel dopoguerra, proprio per la sua vecchia adesione al fascismo). Josefa Contijoch, scrittrice di Barcellona, offre un personale omaggio in catalano alla poesia di Ungaretti; Stefan Damian vicepresidente dell’Aicl, già italianista dell’Università di Cluj in Romania, relaziona sulla presenza del poeta nel suo Paese.

Come appunto Guareschi (altro grande “Bastian contrario” il cui cinquantennale della morte, agosto ‘68, è stato quasi ignorato dai mass media), Ungaretti, restando fedele alle sue idee, si tenne sempre lontano dal Pci, ambigua irresistibile “sirena” per tanti –intellettuali del dopoguerra; né cercò mai, in generale, l’approvazione della sinistra. Le sue poesie, straordinarie nella loro lapidaria incisività (ricordante, a tratti, sia certi lirici cinesi antichi che l’altro grande Salvatore Quasimodo, sino addirittura al Brecht poeta degli ultimi anni), restano tra gli “scaffali d’onore “della letteratura europea, insieme a quelle di Quasimodo, Saba, Montale, Pasolini. Mentre, sempre a proposito del suo rapporto col Mediterraneo, i più anziani ricorderanno le sue rapide apparizioni in Rai, recitando i versi di Omero, all’inizio di ogni puntata dell’Odissea tivù di Franco Rossi (1968): poi purtroppo non incluse (guarda caso?), negli anni ‘90, nella pubblicazione dei vhs del film curata dalla Rai con le edizioni “elle U multimedia”, vicine a l’Unità.

Altro “mostro sacro” di cui ricorre, in questo 2020, l’anniversario della morte è Raffaello Sanzio: l’urbinate che, raccogliendo e reinterpretando la lezione dell’arte classica, seppe rivoluzionare la pittura all’insegna di una “Pittura fotografica” dalla precisione estrema e di uno spiccatissimo senso del colore, influendo potentemente su tanti altri maestri cinque-seicenteschi, da Pedro Berruguete a Poussin e a Velazquez. La mostra “Raffaello 1520-1483”, originalmente impostata secondo una cronologia all’ indietro (dalla morte dell’artista, a soli 37 anni, nel 1520, alle sue prime radici urbinati), inaugurata il 5 marzo e poi frettolosamente chiusa causa il Covid-19, ha riaperto al pubblico e durerà, alle Scuderie del Quirinale, sino al 30 agosto ( orari dal lunedì alla Domenica, 9-22, ultimo ingresso alle 20,30; la prenotazione è obbligatoria, sul sito delle Scuderie del Quirinale o chiamando il call center al numero 02/92897722, oppure presso tutti i punti vendita aperti al pubblico di “Vivaticket”; entrata, con le usuali precauzioni sanitarie).

Con 100 opere di Raffaello (tra pitture e disegni), in gran parte dagli Uffizi, e da altri prestigiosi musei di tutto il mondo, la mostra rappresenta l’apice delle celebrazioni mondiali per i 500 anni della morte dell’artista, momento essenziale del programma del Comitato nazionale istituito, a suo tempo, dal ministro per i Beni e le Attività Culturali Dario Franceschini e presieduto da Antonio Paolucci, già sovrintendente al Polo Museale Fiorentino e direttore dei Musei Vaticani. Tra le iniziative editoriali per l’anniversario, significativo è il volume di autori vari “Raffaello – Gli occhi, le mani, i versi, lo sguardo” (Pellegrini Editore), frutto di una collaborazione tra la casa editrice, il ricordato Centro Studi e Ricerche Francesco Grisi e il Mibact. Il testo, a cura del critico Pierfranco Bruni, che è uscito ora in edizione e-book e vedrà successivamente la versione cartacea, con contributi di studiosi di tutto il mondo, si sofferma sui temi più vari. Come il confronto tra Raffaello e Leonardo, le opere dell’urbinate e della sua scuola nella cinquecentesca Villa della Farnesina a Trastevere, e la dimensione onirica e neoplatonica presente (come già per Piero della Francesca e Botticelli) nella pittura raffaellesca.

Sempre Neria De Giovanni, presidente dell’Associazione internazionale dei critici letterari, analizza il linguaggio del sonetto come modello intrigante amoroso nelle metafore linguistiche: pochi sanno infatti, che il Sanzio, come il Buonarroti, scrisse anche poesie, su temi soprattutto amorosi (5, i sonetti accertati di suo pugno, ritrovati sui cartoni preparatori de La disputa del Sacramento, affresco tra i più noti delle Stanze di Raffaello in Vaticano, realizzato nel 1509). In conclusione del libro, Pierfranco Bruni racconta la vita di Raffaello Sanzio, basandosi anche sulla celebre biografia del Vasari.

Aggiornato il 05 giugno 2020 alle ore 11:54