Schivo, un po’ timido, Adriano Pennino: musicista, direttore d’orchestra, compositore, arrangiatore e produttore: preferisce far parlare i fatti, o meglio, la musica. Sebbene il papà si occupasse di pubblicità, lui non la ama. Il suo nome doveva essere Walter, ma per il sacerdote che all’epoca lo battezzò, era un nome straniero per la presenza della doppia V. Optarono per Adriano, anche perché, ricordava Celentano di cui la mamma era una grande fan. Vive da molti anni a Roma, ma è nato nel cuore di Napoli, da Anna e Pasquale, i quali hanno generato ben 6 figli di cui cinque fanno un “lavoro normale” come ironicamente sottolinea a mezza bocca Pennino. Però tutti appassionati di musica e di arte in genere. Mentre Adriano, l’ha scelta per professione. Ricorda un’infanzia serena di cui ha bene in mente l’armonia e un simpatico gioco che faceva con il fratello maggiore e che negli anni ha replicato prima con i figli più grandi ed ora con la piccola di casa: ripetere a mo’ di quiz le capitali europee nel tragitto da casa a scuola. Pur ammettendo che un po’ della quotidianità partenopea gli manca, è aperto al mondo delle nuove contaminazioni, non solo musicali, ma anche culinarie. Come molti nel mondo della musica, a causa del Covid-19, ha dovuto interrompere alcuni lavori avviati, avendo almeno però lo sfogo della creatività e dello studio di registrazioni. In ogni caso si dice più fortunato dei medici, degli infermieri, degli insegnanti, dei negozianti. Insomma, di tutti quelli che ci forniscono un servizio. Definito da Ennio Morricone “Semplice ma sofisticato” incarna bene la definizione. Inizia come pianista nei locali della sua città per poi collaborare con Pino Daniele, Ornella Vanoni, Giorgia, per la quale scrive e arrangia Girasole.  E ancora D’Alessio, Marcella e Gianni Bella, con cui collabora per gli arrangiamenti e la direzione dell’orchestra dello speciale Una serata… Bella, sulle reti Mediaset. Che l’artista sia una pietra miliare come Renato Zero, o una stella nascente come Luca Blindo, per il maestro Pennino non fa differenza: la musica prima di tutto.

Da pianista di Gino Paoli a produttore discografico, come è maturata l’idea?

L’idea è maturata, cresciuta e sviluppata attraverso ore e ore di lavoro, di studio e di amore per la musica e le canzoni. Una pazzia di Paoli che decise che dovevo essere il suo arrangiatore.

Le tue esperienze nel campo musicale vanno dalla direzione della London Simphony Orchestra, a coach di Amici, passando per gli arrangiamenti più disparati. Che requisiti deve avere un progetto per piacerti?

A me piacciono tutti i progetti perché sono innamorato della musica, mi appassiono a prescindere dal genere: che sia etnico, classico, leggero, trap o free jazz.  E poi sono innamorato degli artisti. Ognuno ha un mondo che mi si apre facendomi entrare in un altro miliardo di mondi musicali ed umani.

Sei un autodidatta, come orgogliosamente hai ripetuto più volte, quindi si possono ottenere grandi risultati anche senza “accademie”?

Senza accademie sì, ma senza studio no. Un mio amico ripeteva sempre una frase che aveva letto da qualche parte: “L’unico posto dove successo viene prima di sudore è nel dizionario”.  Ed è proprio così. Ho studiato tanto nella vita, sperimentato, provato, studiato, riprovato, ore e ore ogni giorno: una vita! E insieme ai successi anche progetti che non hanno visto mai la luce sui quali mi sono speso notti e giorni di lavoro.

In una intervista dici che a 11 anni non sei entrato al conservatorio di S. Pietro a Majella perché avevi suonato un pezzo di Johann Sebastian Bach in versione jazz. Hai mai pensato di realizzare un lavoro discografico proprio con queste caratteristiche: musica Classica in versione Jazz?

Di musica classica vera e proprio no, ma mi piace lavorare sui classici, soprattutto napoletani e rivederli armonicamente ma senza stravolgere la loro essenza. Anzi, sai che sto lavorando ad un progetto di questo tipo proprio in questo periodo? Pensa, lavoro a distanza, in questo periodo di pandemia.

Sei spaventato da questa condizione attuale?

Sì, ma sono anche speranzoso. Spero si trovi presto una cura e si ritorni a vivere, anche se sarà molto difficile tornare alla normalità. Sarà una vita nuova, che ci toglierà qualcosa ma ci darà tanto altro. Maggiore comprensione del contesto in cui viviamo, più rispetto della salute, degli anziani, della scuola. Avremo a che fare sempre di più con sistemi tecnologici di comunicazione. Dovremo essere bravi a convivere con tutto questo.

Come nasce un arrangiamento?

Dall’ascolto. Dall’artista che ho di fronte e da un’idea che porto avanti fino a quando non incontro la realizzazione ideale; infatti per me non esiste un arrangiamento bello in assoluto, ma un arrangiamento giusto per quell’artista e, per quella determinata canzone. E’ un lavoro di ricerca del sound, dell’intonazione, dello strumento ideale e soprattutto di quello che io chiamo il “mood” dell’artista: tutto il suo mondo.

A Sanremo hai diretto molti artisti, ci vorrebbe un’intervista a parte per citarli tutti. Cosa hai provato, la prima volta sul palco dell’Ariston, al suono della frase: “Dirige l’orchestra il maestro Adriano Pennino”?

Volevo scomparire! Un po’ per paura un po’ per incredulità. Mi chiedevo: sicuro che hanno chiamato me? Scherzi a parte, una grande emozione.  Ancora oggi dopo tanto tempo. Mi ritengo un esordiente, per questo ho sempre un grande entusiasmo e ancora mi emoziono dopo tante partecipazioni a Sanremo. Credo, se non sbaglio, dovrei essere il secondo maestro come numero di presenze (arrossisce, timido, anche sotto la mascherina).

Autore e arrangiatore nell’ultimo lavoro discografico di Renato Zero: che tipo di esperienza è stata?

Renato è un grande artista, un musicista competente ed un interprete istrionico, ma devo dire che è soprattutto una persona piena di umanità e di voglia di fare. E’ un creativo, un artista serio e generoso. Ha tanta energia. Non gli daresti mai gli anni che ha. Ha una marcia in più…

Progetti futuri?

Sì, bisogna sempre avere progetti, e se non li hai devi sforzarti di crearli.

Un sogno nel cassetto?

Il mio sogno nel cassetto è realizzare musica da film, anche se qualche piccola esperienza già l’ho fatta, ed anche con una discreta critica. Mi piacerebbe fare di più in questo senso.

Sei padre di quattro figli, da padre appunto e, da maestro, in un momento difficile come questo, che consiglio daresti a un giovane che si affaccia al mondo della musica?

Ho quattro figli, sì. I due maggiori si laureano tra poco e i piccoli sono alla scuola secondaria. Tutti amano la musica e suonano qualche strumento, ma non credo sceglieranno di seguire le mie orme. Ai giovani dico sempre la stessa cosa: di seguire il proprio cuore e scegliere quello che lui suggerisce per realizzare la propria leggenda personale e poi di studiare: studia, impara e poi studia ancora e impara di più. Con la competenza e lo spirito di sacrificio si arriva lontano.

 

Aggiornato il 06 novembre 2020 alle ore 18:36