Nadia Rinaldi: con la dipartita di Gigi ho perso mio padre per la seconda volta

venerdì 27 novembre 2020


A pronunciare queste parole è l’attrice Nadia Rinaldi, indiscussa protagonista del film Faccione. E fu proprio Gigi Proietti a segnalarla all’amico Christian De Sica, al suo debutto come regista, pretendendo però, che andasse al Laboratorio a vedere all’opera l’allieva di grande talento. La Rinaldi, ancora scossa per la perdita di quello che lei reputava un padre (tanto da farsi accompagnare all’altare il giorno delle nozze), racconta del provino per entrare nel Laboratorio, degli amici incontrati lungo il percorso e di quanto Gigi sia stato importante per la sua crescita umana e professionale. Nata a Roma, legatissima alla famiglia d’origine (in modo speciale alla sorella) e a quella che si è creata dopo con i suoi due figli: il ventenne Riccardo (Damiano nella serie Netflix Baby) e la ormai adolescente Francesca Romana. Amori travagliati, vita movimentata, il temperamento della solare Nadia le fa superare ogni avversità, inevitabili nella vita di chiunque. Ha lavorato in tv, al cinema, in teatro, con registi importantissimi come Giorgio Strehler, Pietro Garinei, Pier Francesco Pingitore, Luca Manfredi, Claudio Risi, Giulio Base, Dario Argento, Alessandro Gassman, Antonello De Rosa, Pino Quartullo e prima di questi nomi e tanti altri c’è lui: l’indimenticabile Gigi Proietti. La raggiungo telefonicamente per parlare di una bella iniziativa legata proprio all’indimenticabile Mandrake:

Ciao Nadia, come stai?

Bah, un po’ così. E’ un periodo pieno di incertezze senza avere la forza e la capacità di progettare. La preoccupazione è più forte della voglia di ricominciare. Per la fantasia e la creatività questo è davvero un brutto momento. Tutto fermo.

Sei attrice, ma anche mamma. Come stai gestendo la situazione con i tuoi figli?

Il primo ha venti anni, vive con la fidanzata, la gestione ormai è totalmente sua. Mentre con la piccola, con la mia energia, ci facciamo forza insieme.

Quando hai capito che volevi fare l’attrice?

Da sempre, da quando andavo alle elementari. Sono andata a scuola dalle Orsoline: mattina e pomeriggio le recite religiose. Loro ci portavano sempre a teatro. Avevano un’apertura e un’elasticità mentale che mi hanno spronato per questa via. Mi hanno spinto loro verso un’accademia teatrale. Ogni 15 giorni ci portavano a vedere uno spettacolo. Il primo fu L’uomo dal fiore in bocca di Pirandello, con Michele Placido. Ovviamente eravamo seduti in piccionaia, i biglietti degli studenti erano quelli economici e a me stava bene così. Devi sapere che le mie amiche avevano nel diario le foto di Miguel Bosé e Sandy Marton, io quelle di Gassman, Paul Newman e Gigi. Ero follemente innamorata di tutti e tre. Il primo spettacolo di Gigi che ho visto è stato l’Otello, al teatro Quirino: che emozione, gli portai le rose nel camerino. La regia era di Alvaro Piccardi che a distanza di anni è stato il mio insegnante all’interno del Laboratorio.

Come sei arrivata al Laboratorio di esercitazioni sceniche di Proietti?

Ci sono arrivata per tigna. Vedevo Gigi in televisione nello spettacolo Attore amore mio, mentre interpretava Cyrano de Bergerac, e vedevo queste compagnie formate dai ragazzi che frequentavano il Laboratorio, nei quali mi riconoscevo. Ero pazza de la Zavorra, composta tra gli altri, da Rodolfo LaganàPaola Tiziana Cruciani e Massimo Wertmüller. Soprattutto mi rivedevo nella Cruciani.

Finito il liceo, convinta che il Laboratorio fosse una scuola privata, con papà che aveva perso il lavoro, ho fatto tutti i lavori possibili e immaginabili per poter mettere da parte i soldi per la retta. Quando chiamai, il corso era già iniziato, allora mi iscrissi all’anno integrativo per l’università. Con me in classe c’era il cantante Massimo di Cataldo. Chiamavo tutti i giorni per sapere se c’era qualche novità. Quando quella al telefono mi disse “mi lasci il numero, quando esce il bando la chiamo” allora finalmente capii che la scuola era statale, che il bando era patrocinato dalla regione Lazio e che bisognava vincere il concorso.

In cosa consisteva l’audizione?

Richiedevano una prova recitata di un brano noto, saper cantare e qualcosa a piacere della commissione.

Tu cosa hai portato?

Io portai Le mosche di Sartre. Il personaggio di Elettra, questa indemoniata che andava sotto la statua di Giove con la busta della monnezza e incominciava a bestemmiare. Il caso volle che quel giorno ci fosse Gigi, io convinta che non mi avrebbe mai scelta, pensai però che almeno si sarebbe dovuto ricordare di me per tutta la vita. Lo avevo di fronte e quando immersa nella recitazione dovevo lanciare la busta della spazzatura, accuratamente riempita di bucce di banane e di ogni altra schifezza, la lanciai nella sua direzione e lo colsi in pieno. Avevo provato a casa, davanti ai miei genitori increduli, pensando fossi matta. Ci presentammo in 600, doveva essere una sola audizione, invece visto il numero ne fecero due. Dalla prima scelsero 50 candidati che poi li avrebbe dovuti vedere Gigi in persona. I provini erano a porte aperte ma lui non c’era mai. Quel giorno doveva andare così, lui era lì. Mentre io mi dimenavo a terra per meglio interpretare il ruolo, con la coda dell’occhio vidi che si puliva di tutto quello che gli avevo scaraventato addosso e veniva verso il boccascena, aveva la faccia attaccata alla mia. Io ero innamorata, per me era il nonplusultra. Avevo raggiunto l’apice della gioia. Avevo dimenticato tutto, non ricordavo le battute. Mi chiese di riprendere da dove avevo perso il filo e dopo che eseguii la canzone Quello che le donne non dicono si alzò in piedi per applaudirmi, e con lui tutti i presenti. Pensavo fosse entrato qualche attore noto dietro di me, invece gli applausi erano rivolti alla mia persona.

Che legame è stato il vostro?

Io con Gigi ho avuto da subito un legame straordinario, a differenza di altri che come me erano appassionati e suoi ammiratori. Io volevo fare la scuola di Proietti, non un’altra scuola, perché sentivo di avere quel codice, che riconoscevo mio. Bastava uno sguardo per capire le sue intenzioni, lo capivo al volo. E’ un codice che abbiamo in molti, e ci riconosciamo.  Io volevo sempre fare lezione con lui, avevo difficoltà a studiare con gli altri insegnanti. Non avevo nessun imbarazzo o disagio, anzi, quando c’era lui riuscivo a dare il meglio di me. Se Gigi non ti vedeva con le ascelle sudate, diceva che non avevi dato tutto te stesso. Quando sudavi diceva che la prova stava andando bene. E ti teneva sul palco tante ore. Dalle 8:00 alle 20:00. Lui arrivava alle 18:00, e tu che facevi, te ne andavi alle 20? No. Allora c’erano i doposcuola, le cene, le serate spettacolari, le pizze sul palco. E si facevano le 3:00 di notte.

Che rapporto hai con la canzone romana?

Non mi voglio ripetere, però per me la canzone romana è Gigi. E io quando canto mi ispiro al suo modo, che poi è il mio naturalmente.

A proposito di canzoni, Lorenza Bohuny e Maurizio Carlini hanno scritto di getto una canzone per Proietti. Come sono arrivati a te e dove si può ascoltare questo brano?

Sì, è una bella dedica corale. Io e Lorenza non ci conoscevamo, ci ha messo in contatto Francesca Nunzi, un’altra bravissima allieva di Gigi. Mi ha detto che c’era questa sua amica, un’artista di strada, che aveva composto assieme al compagno Maurizio una canzone in onore di Gigi: L’urtimo romano, e che avrebbe voluto che io partecipassi al progetto. Appena ho sentito il pezzo mi sono venute le lacrime, non riuscivo a registrare niente, avevo uno gnocco alla gola. Sono stati bravissimi, hanno scritto le parole, composto la musica e arrangiato il pezzo in pochissimo tempo. Spinti dall’amore per Gigi, anche se non lo conoscevano. E poi è successo l'inaspettato. Come in un circolo virtuoso si è innescato un passaparola, nato appunto da Francesca Nunzi. La Bohuny dice che mi aveva vista la mattina in un video piangere per Gigi e si era commossa tanto. Nel video siamo in tanti ad omaggiare Gigi: Fulvia Lorenzetti, Marco Simeoli, Patrizia Loreti, Concetta Ascrizzi, Stefano Ambrogi, Gianfranco Teodoro, Stefania Calandra, Pietro de Silva, Alberto Patelli, Piero Pintucci. Spero di averli ricordati tutti. Sono ancora scossa da questo brutto incubo. Il brano è piaciuto molto, tanto che lo hanno pubblicato sulla pagina di Roma Capitale. E ovviamente sui social.

Che rapporto hai con le figlie e con la moglie di Proietti?

Bellissimo, anzi, fammi spendere due parole per Sagitta: Gigi ha potuto realizzare tutto quello che ha fatto grazie alla sua compagna, una donna che lo ha sostenuto senza creargli nessun tipo di problema, gestendo le figlie in assoluta autonomia. Sappiamo quanto è dura in una grande città crescere dei figli, lei è stata davvero fantastica. Una compagna di vita straordinaria. Buona, intelligente, si sono conosciuti quando lei aveva 16 anni. Lo ha sorretto sempre, anche quando non piaceva alla critica. E’ stata la sua prima sostenitrice.

Prima della pandemia avevi alcuni spettacoli avviati, cosa ne è stato?

Avevo ancora una trentina di repliche con lo spettacolo insieme a Martufello e la Villa. Ancora in piedi lo spettacolo con la Miconi. Il mio Recital, lo spettacolo con cui avrei dovuto debuttare al Tirso e invece stiamo così, a gennaio era previsto lo spettacolo con Stefano Ambrogi ed è andata come è andata. Al cinema non mi chiamano chissà perché. E’ una domanda che faccio: perché? Ho una settantina tra fiction e cinema. Prima ero grassa e potevo fare solo certi ruoli, ora sono magra e non vado più bene.

Pensi che il fatto che tu sia dimagrita ti abbia penalizzata?

Credo di sì. Quando ero grassa mi facevano fare sempre gli stessi ruoli, cambiavano i costumi ma i ruoli erano uguali. Io sono dovuta dimagrire per una questione di salute, non avevo nessun problema di autostima o chissà che cosa. Anzi, la mia fisicità mi faceva essere diversa dalle altre, unica. I cosiddetti difetti sono diventati i miei punti di forza. La mia presenza scenica, era ed è più forte dell’aspetto fisico.

L’amore?

Nu’ c’ho tempo pe’ ll’amore. Nel senso che sono stanca di stare da sola, perché come tutti ho bisogno di essere accarezzata, baciata, di incontrare occhi complici che mi guardano, senza dover dire nulla. Non parlo dell’atto sessuale, se volessi quello, c’è la fila. Ho voglia di un rapporto di qualità e per quello, sì, troverei il tempo.


di Giò Di Sarno