Tra Bernini e Borromini era vera competizione?

martedì 1 dicembre 2020


Non c’era poi così tanta discordia tra i due. Anche perché Gian Lorenzo Bernini è stato un magnifico scultore, elegante e salottiero, cavaliere a suo agio in società, autoreferenziale fino al narcisismo. Bernini rivelava, attraverso virtuosi e tortuosi panneggi passionali e sapienti maliziosità espressive, l’intero spirito plateale e controriformista. Francesco Borromini era architetto misantropo, introverso, aspro ed esasperato. Ma Borromini era anche il geniale architetto che trasformava in opere virtuose anche le commesse meno ricche: in lui la necessità di plasmare la materia come cera, muovendo facciate ed interni, in concavità e convessità ed infiniti stucchi, infarciti di sentimenti mistici fusi ad esoterismo: per poi arricchire tutto, anche in mancanza dei policromi marmi a disposizione del Bernini. Quindi entrambi fini conoscitori dell’illusione anamorfica, declinata nella nuova sintassi che dava al classico quel senso di “broken” (rottura con il passato) che in maniera dispregiativa si chiamerà poi “Barocco”.

La vera competitività la impostarono i tre Papi che si succedettero: Urbano VIII (Maffeo Vincenzo Barberini) Innocenzo X (Giovanni Battista Pamphilj) Alessandro VII (Fabio Ghigi). Furono loro a generare simpatie alterne, agevolando e privilegiando prima l’uno poi l’altro e poi entrambi. Così da far nascere la leggenda della discordia fra Bernini e Borromini. Non avrebbe mai potuto Borromini, che amava lavorare da solo (al massimo con un mastro che gli preparava i fondi), gestire l’industria che, da eccellente imprenditore, aveva allestito Bernini vantando l’intero parco disponibile degli scultori contemporanei. Nessuno escluso, erano tutti a servizio di Bernini. Lo scontroso asociale Borromini corse più volte in aiuto dell’accattivante Bernini che si rifiutava in onestà di operare da architetto. Ad esempio, quando Bernini fu costretto dal ricattuccio papale alla realizzazione del Baldacchino di San Pietro, senza i disegni delle colonne tortili e dei calcoli statici del Borromini: notizia questa che Bernini si guardò bene dal pubblicizzare, egocentrico come era, quindi rimasta sconosciuta, fin quando non sono stati rinvenuti gli originali disegni progettuali di mano del cantonese. Poco infatti avrebbe potuto la pur fertile mente del Bernini di fronte all’oscuro dimensionamento statico: comunque, con la sua brillante intelligenza, ben presto imparò e mise impeccabilmente in pratica; lo notiamo nella straordinaria fontana commissionata da Papa Pamphilj, che prima lo aveva messo al bando, per cancellare l’opera del predecessore Papa Barberini ed ovviamente anche dei suoi protetti. Opera con cui Bernini sfidò l’ingegneria, facendo sgorgare l’obelisco, rinvenuto dallo stesso Papa in quattro pezzi nella villa di Massenzio, da un vuoto in bilico nella sottostante scogliera.

Bernini e Borromini non si possono non si devono confrontare, si devono solo amare. Poi il terzo incomodo, Pietro Berrettini (Pietro da Cortona): queste le tre B del Barocco romano. I tre Papi commissionarono loro delle opere grandiose, che non hanno mai avuto una sola mano. L’architettura è sempre espressione dei potenti e non è mai innocente. E la faccenda della Fontana dei quattro fiumi? Bernini tornava nelle grazie del Papa perché protetto dalla Pimpaccia? Si tratta di anacronismo storico, quindi leggenda popolare, più che altro una pasquinata. Bernini non godeva della protezione dell’avida Donna Olimpia (la Pimpaccia come la chiamavano le pasquinate) ma per imbonirsela, l’astuto scultore le regalava il bozzetto in argento della fontana. Correva l’anno santo 1650, e l’occasione si rivelava ghiotta per la senza scrupoli Donna Olimpia, che non si faceva sfuggire le occasioni in tutto quel fermento. Tra truffe ai pellegrini e raggiri a corte, Donna Olimpia non si faceva mancare proprio nulla. Con nomina di direttrice dei lavori giubilari promuoveva il nuovo assetto architettonico della monumentale “Platea”: piazza Navona che, oltre ad officiare la grandezza del suo casato, avrebbe simboleggiato (rappresentandolo nella sua magnificenza) l’intero spirito plateale del Barocco. I progetti del palazzo e della chiesa venivano affidati a Carlo e Girolamo Rainaldi. La chiesa poi conclusa nella facciata da Borromini, impegnato a sua volta alla progettazione della Galleria, poi affrescata dal Berrettini. Ma Bernini, fuori dai giochi, ma ansioso di riconquistare il suo ruolo di prestigio nella corte pontificia (da cui era stato allontanato per faziosi motivi politici che lo avevano visto vicino al precedente Papa) per aggiudicarsi la prestigiosa commissione (almeno della costruzione della Fontana) fece pervenire un bozzetto in argento alto un metro e mezzo alla terribile confidente di Innocenzo X (la Pimpaccia). Quest’ultima solo allora decise d’indirizzare le scelte del potente cognato sullo scaltro ma geniale scultore. Fu così che Bernini rientrava in scena. Osservazione. C’è qualcosa di diverso da ciò che accade al giorno d’oggi? Si un po’ non esistono più geni come Bernini...e poi nessuno sponsorizza più lonesta genialità.


di Simona Perazzini