Pasquale Petrosino si nutre di Teatro e… di “Pane e zucchero”

venerdì 4 dicembre 2020


Pasquale Petrosino nasce nella storica Catania, figlio di Nicola, sottufficiale della Guardia di Finanza, e di Anna, casalinga con il sogno di un lavoro cosiddetto normale. Primo di 5 figli vive in una famiglia monoreddito e per quanto sia stata grande la voglia di studiare, ha dovuto rimandare a tempi più floridi questa sua passione, tanto è vero che, nonostante sia già laureto in Scienze Politiche con indirizzo relazioni internazionali, non ha mai smesso di dare esami. Infatti lo becco al telefono mentre sta studiando per il corso di laurea in Scienze e tecnologie delle arti dello spettacolo. Militare della Guardia di Finanza è attualmente direttore organizzativo e di marketing dell’accademia Scena Teatro, diretta dal compagno, il regista Antonello De Rosa, con cui vive a Salerno. Si occupa di giornalismo e comunicazione scrivendo per diverse testate e trattando principalmente di cultura filosofica e psicologica. Organizza eventi culturali legati soprattutto al mando del teatro. Ha un rapporto straordinario con la nonna materna: da sempre al centro della sua vita. Una nonna indipendente in una Sicilia ancora troppo legata a stereotipi. La prima donna a tagliarsi i capelli e ad indossare i pantaloni in un contesto dove ancora regnava l’inferiorità del sesso debole. Il piccolo Pasquale intravede l’indipendenza e l’amore che questa donna con la D maiuscola trasmette: una donna che guida ancora oggi, a 82 anni, la sua macchina. L’unica donna e l’unica della famiglia che non ha battuto ciglio quando il nipote ha rivelato la sua omosessualità: un faro nella sua vita. A lei deve tantissimo: dall’amore per la natura a quello per gli animali. Senza dire della lucidità di ragionare anche nei momenti più buoi. A lei deve anche il saper guidare e tante altre piccole e grandi cose. Il libroPane e zucchero” è un viaggio fra i ricordi di un dolce vissuto. Un rapporto simbiotico. Un regalo di Natale alla nonna e, insieme, un omaggio alla sua straordinarietà. Avrebbe dovuto presentarlo a dicembre, ma il Covid-19 glielo ha impedito. Presentazione solo rimandata.

In un momento in cui tutto è fermo tu hai sfornato (è il caso di dire) un bel romanzo dal titolo “Pane e zucchero” (Indipendently Published KDP Amazon). Come mai hai deciso di scrivere questo libro e proprio adesso?

E’ un libro che decisi di scrivere tantissimo tempo fa. Ho trovato la prima bozza risalente al 2015.  Ho messo insieme delle varianti e così è nato “Pane e Zucchero”: una lettera aperta di un bimbo nel ricordo di una donna straordinaria, una figura indispensabile per la sua vita. “Pane e zucchero” è dunque una sfida che si concretizza durante la prima ondata epidemica.

Più volte hai dichiarato che tua nonna è stata l’unica a comprendere senza troppi perché la tua omosessualità. Hai anche una figlia, come ti sei rapportato con lei a questo proposito?

Avrei voluto rapportami direttamente con lei, spiegandole il tutto con la verità delle parole, ma purtroppo questa evidenza che, penso, mi fosse dovuta, in realtà non mi è stata concessa. E’ stata informata non da me, e questo è per me un dolore immenso. In una circostanza in cui avevo la piccola con me, durante una frittata che le stavo preparando lei mi chiese: “papà posso farti una domanda?”.  Avevo intuito, rimasi di spalle, come un vigliacco. Gli risposi: “certo amore, dimmi pure”. “Papà  -  proseguì -  sei gay?”. A quel punto mi girai e dissi: “cosa vuol dire per te essere gay?”. “Che un uomo sta con un uomo e una donna sta con una donna”. Replicai aggiungendo: “amore mio, un uomo ama un altro uomo e una donna ama un’altra donna: sì, sono gay! “Allora ho 

due papà?!”. “Sì”, dissi.  Mi sentii in dovere di precisare che il verbo amare non è uno stare, ma un essere, un vivere.

Perché la gente si interessa così tanto a cosa fa una persona in camera da letto, e con chi lo fa. Ti sei dato una risposta?

Mi interrogo molto su tutto ciò che avviene, in particolare su questo aspetto credo di avere ben chiaro il perché. L’interessarsi con chi tizio va a letto è sicuramente frutto di enorme insoddisfazione, magari coloro che lo fanno con tanto interesse è proprio perché lasciano agli altri fare ciò che vorrebbero far loro. Un senso di “curtigghiu”, un pettegolezzo continuo che è frutto di enorme insoddisfazione, personale e sociale.

Hai un lavoro stabile come finanziere, lo hai ripetuto più volte sentendoti quasi privilegiato, nel contempo sei direttore organizzativo e di marketing dell’accademia Scena Teatro, come riesci a conciliare le due attività apparentemente distanti?

Ci sono situazioni che capitano e che non vorresti, ma che devi farti piacere per forza, costretto dalle situazioni che a volte ti portano a scelte, appunto, non desiderate. Sai il mio papà era un finanziere, lui teneva tanto a questo, io volevo fare l’artista, lo psicologo, il filosofo, i libri sono stati sempre i miei compagni di vita, invece ho dovuto far fronte alle esigenze della famiglia che non mi permettevano di proseguire gli studi. Cosa che poi ho fatto, in accordo con papà, tentando un concorso. Concorso che vinsi in prima battuta, ed ecco qui. Amo stare in contatto con le gente, programmare eventi culturali, spendermi per la Cultura ed il Teatro. Quindi è con amore e tanta dedizione che coniugo i miei due incarichi.

Sei sempre piegato in due su qualche libro, hai una passione viscerale per lo studio, credi sia dovuto al fatto che tu non abbia potuto seguire la tua vocazione per una questione economica, oppure avresti avuto la stessa spinta anche in una famiglia benestante?

Lo studio è qualcosa che mi appartiene da sempre, non è la fine di un percorso accademico che ti spinge verso lo studio stesso. Io ho sempre studiato anche quando non frequentavo l’università. Devo questa passione alle mie insegnanti, alla mia maestra di asilo e di scuola elementare, unica nell’insegnamento di più materie, e a tutti gli insegnanti che ho incontrato lungo il mio percorso. A loro devo la metodologia nello studio e l’amore per esso. Il senso di libertà e di indipendenza che solo attraverso la conoscenza si può avere.

Hai una bella storia d’amore con il regista Antonello De Rosa, come vi siete incontrati?

Antonello mi ha permesso di ritornare a vivere. Mi ha letteralmente preso all’angolo della vita, schiacciato dal fallimento della mia esistenza, un matrimonio fallito, una figlia a cui è stato fatto un lavaggio di cervello contro me, senza un soldo, impaurito e diffidente verso tutto e tutti. Avevo smesso di avere passioni. Grazie a lui tutto risorge. Guarda, davvero non è esagerato. E’ proprio così. Non avevo più nessuno, solo mia nonna. Il deserto intorno, una cosa orrenda, tremo ancora adesso al solo pensiero. Comunque, ritornando a noi: vedo una foto su Facebook, sai quando FB ti propone le amicizie? Ecco, me lo ha proposto Facebook. Appena mi è apparso sono impazzito totalmente. Ma mai avrei creduto a tutto ciò, pensavo fra me e me: figurati se questo è interessato a me (?)… invece è venuto ad un appuntamento concordato su Messanger. Da lì non ci siamo più separati, anche se inizialmente mi ha fatto penare, se devo essere sincero. Io cercavo certezze, ma 

lui, essendo molto più saggio, prima di darmele ha voluto esserne certo. Lo ringrazio. Ora lui è tutto per me.

Cosa consigli a un giovane che vuole avvicinarsi al Teatro?

La prima cosa assoluta è lo studio. Studio, che non può concludersi con il conseguimento di un diploma o di un attestato. Lo studio, per chi vuole fare Teatro, deve essere continuo. In questo mare di relativismo oggi si ha la presunzione, magari dopo una parte in qualche spettacolo o dopo un ciclo laboratoriale o accademico, di essere grandi attori. Questo non va bene. Studiare, studiare e studiare. In questo, De Rosa è un vero maestro.

Che cos’è la passione per Pasquale Petrosino?

E’ vita. La passione ti permette di sentirti ed essere vivo. E’ tutto.

E la libertà?

La consapevolezza di non abbassare mai la testa. Di manifestare sempre il proprio pensiero. Essere libero è essere autentico, senza la libertà saremmo distrutti nella nostra essenza più profonda.

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di Giò Di Sarno