Tony Esposito, maturo a metà

Date in mano a un bambino due cucchiai di legno, un paio di coperchi, qualche pentola e lo renderete felice. La stessa felicità che si legge negli occhi di Tony Esposito quando lo si stana nel suo covo-studio a Trastevere. Immerso in una dimensione aulica, passa intere giornate e nottate a ricercare suoni, ad inventare strumenti. Proprio come fu per la creazione del tamborder (tamburo di frontiera) da cui deriva il suono che ha determinato parte del successo di Kalimba de luna. Il brano che, vincitore di Un disco per l’estate del 1984, ha venduto dieci milioni di copie nel mondo. Numerose le cover. Tra le più note quella dei Boney M. e la versione di Dalida.

L’artigiano delle percussioni (come ama autodefinirsi) non fa distinzioni tra un tamburello, un bongo, una darabouka, una conga, due vecchie “caccavelle” (pentole) di rame o di alluminio. Per lui suonare è linfa vitale senza la quale non potrebbe sopravvivere. Una spiritualità, quella di Tony, che si tocca con mano. Un’infanzia serena trascorsa con la mamma pianista e il papà barbiere, due sorelle e un fratello. Arrivato da Napoli a Roma molti anni fa, assieme al suo amico conterraneo Alan Sorrenti. È un incanto sentire il racconto della sua prima residenza a Campo de’ Fiori, l’incontro con Lucio Dalla, Francesco Guccini, Francesco De Gregori, Lucio Battisti, fino ad arrivare, con non poca commozione, a ricordare l’amico fraterno Pino Daniele. Tony è un uomo generoso, dall’animo puro, quasi ingenuo. Non teme confronti quando generosamente parla delle sue collaborazioni: dai fratelli Bennato a Gilberto Gil, da Lucio Dalla a Mauro Pelosi, da Billy Cobham a James Senese. E ancora, Rino Zurzolo, Joe Amoruso, Vecchioni, Guccini, De Piscopo e naturalmente Pino Daniele. L’elenco è lungo e vario.

Esposito ha bisogno di confrontarsi e collaborare con artisti di provenienze diverse, tanto da diventare un punto di riferimento per tutti i musicisti etnici che arrivano nel nostro Paese. Il percussionista non fa mistero degli esordi, di quanto deve ai suoi incontri da immigrato napoletano, senza un soldo in tasca ma tanti sogni e fantasia. Amante degli animali, a tal punto da considerarli parte della sua famiglia. Anche se gli anni passano, l’aspetto di Tony è sempre uguale: un giovane hippy che disegna sulle stoffe, che viaggia a bordo di una vecchia Chevrolet degli anni ’70 color turchese, come le sue collane folcloristiche. Capelli e barba biondi, una parola buona per qualche amico, una busta piena di oggetti da rianimare e un po’ di cibo casomai incontrasse un randagio. Ci facciamo questa chiacchierata mentre fervono i preparativi per la Giornata mondiale della terra, che lo vede protagonista di una maratona musicale in onda sulle reti Rai.

Ben trovato Tony, partiamo dalla fine: cosa bolle in pentola, se non la suoni?

Carina questa. Sto lavorando a un disco nuovo per me importante. Sarà una grande apertura. C’è un’energia compressa in tutti noi, abbiamo bisogno di creatività. Io ho voglia di creatività. Per cui sarà un disco-incontro con tutte le esperienze fatte nell’arco della mia carriera. Incontri di viaggi, di colori, di suoni, sapori, odori. Albe e tramonti del mondo. Sempre sotto questa visione di intrecci non solo musicali ma anche umani, ci sarà un omaggio a Pino Daniele: una persona determinante non solo per la mia carriera e altri omaggi a musicisti con cui ho collaborato sia in Italia che in giro per il mondo. Io non sono il tipico cantautore, sono concentrato più sui suoni e i ritmi, dunque mi risultava strano fare delle cover. Ora mi sento pronto, ho voglia di omaggiare Franco Battiato, Eugenio Bennato e altri che scoprirai a lavoro ultimato. Speriamo di farlo uscire prima dell’estate. Una cosa importante: sto preparando un set live rinnovato, proposte nuove, concerti. Ho anche ripreso a dipingere. Mi auguro quanto prima di poter collaborare nuovamente con Mark Kostabi, sia per gli spettacoli live, in cui prima suoniamo insieme e dopo lui dipinge sulle mie note, sia per quanto riguarda le mostre. Mi piacerebbe riproporre quello che abbiamo fatto all’apertura della Città della Scienza: concerto e pittura. Una soluzione unica in cui presentare tutto il mio mondo.

Questo disco è nato durante il lockdown?

Sì. L’idea mi è venuta guardando tutte le videocassette che negli anni non avevo mai avuto tempo di rivedere. Ho recuperato cose e ricordi, suoni d’Africa, del Sud America. Ed ecco l’idea del viaggio in musica. Ho guardato tutto il mio percorso, ai successi inaspettati, alle collaborazioni. E ho trovato anche un grande regalo, che non so bene ancora se pubblicare. C’è un video in cui io sono ragazzino e suono le percussioni, le pentole, mentre Lucio (Lucio Dalla) il clarinetto. Un’emozione pazzesca.

Possiamo trovare qualcosa di positivo in questo periodo di fermo totale per il mondo dell’arte?

L’unica cosa positiva è che abbiamo ripreso un rapporto con noi stessi. Sarebbe stata meglio un’occasione migliore per farlo, ci siamo dovuti adattare.

L’ozio è la madre della creatività?

A volte fermarsi per riflettere è davvero importante. Però ora basta, dobbiamo vivere. Abbiamo sete di gente, di pubblico. Ho voglia di vedere la nostra Napoli e aspettare che sorga il sole da Posillipo, nell’ora in cui si spengono le luci e c’è una malinconia inebriante. Prendere un caffè mentre la città dorme o mangiare una pizza alle quattro del mattino. Tutto questo mi manca terribilmente.

Cosa non condividi del mondo dello spettacolo?

L’idea che si faccia un disco solo per vendere. Gente che ha soldi per quattro generazioni e pensa solo al lato commerciale. Buttano capitali in avvocati e cause per poi riprendere gli stessi soldi che servono per improntare appunto una causa. Non condivido chi vive senza spiritualità, non mi appartiene questo mondo. Se penso a tutti quelli che nel tempo non mi hanno versato nemmeno un contributo. E ovviamente non l’ho fatto nemmeno io in maniera autonoma. Non percepirò un soldo di pensione, come molti di noi del resto. In Norvegia danno uno stipendio per la creatività, nemmeno questo mi appartiene, però lo vedo più onesto come discorso. Non mi piace chi vive tutte le ansie del mercato con la paura di non vendere. Ci sono colleghi così ansiosi di fare successo, di essere in classifica che poi se succede nemmeno se lo godono.

Forse oggi la vera trasgressione è fare una cosa ritenuta normale?

Ho sempre una visione poetica delle cose. Suono e vivo in maniera istintiva.

Hai due figli. Che padre sei, che rapporto hai con loro?

Molto bello. Mia figlia vive a Barcellona, mio figlio a Roma. Non sono il tipico padre che uno si immagina, loro hanno capito la mia natura. Sanno che li amo sopra ogni cosa e che do loro il massimo che posso. Magari in alcune cose non sono capace, ma in altre sono imbattibile. La mia eccessiva sensibilità, che a volte può sembrare debolezza, è una ricchezza. Credo che un padre debba essere sincero. I figli capiscono, accettano e apprezzano.

Quali sono le tue paure?

Guarda, artisticamente quelle di ogni artista, ovvero, di non riuscire a tramutare in pratica quello che ho nella mente. L’altra mia paura è esistenziale (non della morte, anche se né la scuola né le religioni ci hanno insegnato ad affrontare questa tappa inevitabile). La mia è più paura di non riuscire a fare il mio percorso terreno. Vorrei compierlo in un progetto, vorrei essere utile agli altri, musicalmente e spiritualmente.

La kalimba è un antico strumento di percussione africano ed è anche parte del titolo del tuo successo mondiale: cosa ha rappresentato per te Kalimba de luna?

Mi ha preso letteralmente per i capelli e mi ha fatto fare il giro del mondo da protagonista assoluto. In alcuni grandi concerti mi sono ritrovato fianco a fianco con artisti del calibro di Elton John solo per eseguire quel brano. È stato un vortice potente che mi ha anche sbilanciato. Ad un certo punto ho dovuto frenare e capire dove stavo andando, se era davvero quello che volevo. In ogni caso una esperienza straordinaria.

Chi è Tony Esposito, oggi?

Con la mente è più maturo, ma solo per metà. Spero di non perdere mai il fanciullo che è in me, quel ragazzino napoletano sveglio e romantico. In poche parole, spero di non perdere mai lo scugnizzo che vive in me.

Se non avessi fatto il musicista, cosa ti sarebbe piaciuto fare?

Il marinaio.

Aggiornato il 23 aprile 2021 alle ore 13:43