Il corpo-soggetto: un paradigma liberale/1

mercoledì 7 luglio 2021


Il ritorno del corpo. La prima pubblicazione della “Fenomenologia della Percezione” di Maurice Merleau-Ponty è del 1945, a guerra ormai conclusa. Approfondendo gli studi di Brentano e di Husserl sulla intenzionalità, dello stesso Heidegger, che in “Essere e Tempo” accennò alla corporeità come “spazializzazione dell’esserci”, e le teorie della Gestalt, Merleau-Ponty fa riemergere di slancio, alla filosofia contemporanea, la corporeità.

Il nucleo centrale dell’opera, intorno al quale tutto si avvolge, è infatti il “corpo vissuto”, il corpo come chiasma, o geometral di tutti i punti di vista, percipiente e contemporaneamente percepito, che si trova contemporaneamente ad assumere la funzione di corpo-soggetto e di corpo-oggetto all’interno di un campo di sguardo, di ricerca e di azione.

L’attenzione scientifica e culturale sulla corporeità degli agenti sociali è stato da sempre, nella modernità, un fatto ciclico. Di volta in volta si ripropone.

Cominciarono i sociologi della Rivoluzione industriale, con i corpi dei minatori e dei minori, che erano al lavoro sette giorni su sette, per passare agli studi lombrosiani, all’isteria, a Freud. Poi fu il tempo della “carne da macello” delle trincee della Prima guerra mondiale, e in seguito, nell’arte, fu la volta dell’espressionismo tedesco, di Otto Dix, Schiele e Klimt. Il nazismo scompaginò dunque una ciclicità quasi naturale, che riprese poi corpo alla fine della guerra.

Fu così che, a causa dell’irruzione sulla scena delle teorie e delle leggi razziali, la riflessione sul corpo – al di là delle ovvie, mai cessate, attenzioni da parte della medicina –subì una interruzione ed un silenzio forzoso da parte delle scienze sociali. Dopo il positivismo e lo struttural-funzionalismo, che avevano perseguito un modello scientifico-sociale che aspirava alla stessa “oggettività” delle scienze fisiche, la ricerca sociale incontrò l’inaccettabile strumentalizzazione nazista della “diversità del corpo e del sangue”. Il nazismo decretò selettivamente la distinzione tra corpi “legittimi” e corpi “illegittimi”, tra corpi da accettare socialmente e corpi da separare, rinchiudere e sterminare. La tragica scoperta, da parte dell’esercito russo, nel campo di Auschwitz-Birkenau, dei forni e di torme di prigionieri, dal corpo martoriato ancora vivo, ma lasciato scheletrire per mesi, e delle cataste di corpi in attesa di cremazione, metteva tragicamente la parola fine su un periodo oscuro, che aveva anche significato una sospensione a un filone di studi che non poteva considerarsi “neutrale” o “politicamente corretto”: quello della corporeità e dello spazio sociale.

In Francia, dove si ricominciava a vivere, dopo 5 anni di occupazione nazista e di schiacciamento esistenziale e culturale, si riaccendeva così una scintilla filosofica insperata. E questa speranza veniva riaccesa dalla corrente più oggettiva che ci fosse, quella che meno di tutte si era lasciata polarizzare politicamente e che rincorreva, per davvero, le “essenze”. Merleau-Ponty – marxista dichiarato, almeno fino al 1952, anno in cui lasciò Temps moderns, per le sue divergenze con Sartre – era riuscito a distinguere rigorosamente tra scritti fenomenologici e scritti di dialettica politica.

D’altra parte, le scuole di psicologia tedesche e austriache che si erano occupate di corporeità – dopo Freud, Rank, la Gestalt e soprattutto il filone di Wilhelm Reich - erano rimaste in totale apnea a causa del nazismo, oppure erano diventate planetarie, a causa dell’emigrazione di massa – specie verso gli Stati Uniti – seguita dai loro aderenti. Durante il maccartismo – emblematica la drammatica esperienza di Reich, scomparso durante una ingiusta detenzione nel carcere di Lewisburg – molti si erano trovati a subire simili vessazioni a causa dell’oscurantismo adottato nei confronti degli studi sulla sessualità e sulla corporeità. 

Il ’68 , grazie alla “rivoluzione sessuale”, riaprì gli studi sul corpo con nuova energia. Dal punto di vista sociologico, il filone si ripropose sistematicamente solo negli anni ’90: da una parte con il pensiero della differenza di Diotima e Luce Irigaray; dall’altra con lo sviluppo di una vera e propria Sociologia del Corpo con David Le Breton, e infine Anthony Giddens, con la sua “L’intimità”, come suoi sostenitori.

Il “soggetto” agente, o “attore sociale” del nuovo millennio, tutto proiettato sui social e sulle app, orientato piuttosto ad un guadagno “finanziario”, costruito sulle tastiere più che sulla fatica e sul sudore, per anni ha fatto a meno della corporeità. Il dilagare del sesso virtuale e, oggi, dello “smart working” hanno fatto crollare questi due solidi elementi – lavoro e amore – che fornivano alla corporeità sociale i suoi perni storici tradizionali. La moda dei tatuaggi e dei piercing non erano sufficienti a riaccendere l’attenzione sul corpo. Gli algoritmi e la cibernetica nutrono verso il corpo dell’uomo un interesse del tutto opposto, e tendono, per un verso, a frustrarlo completamente, per l’altro a sostituirlo con la virtualità.

Occorreva pertanto qualcosa di più dirompente per rispettare questa naturale ciclicità scientifica sul corpo. Ecco così esplodere, in parallelo, le tensioni sul razzismo, guidate dai media e le istanze basate sulla supposta teoria del gender e sulla legittimità di “nuove” sessualità, sostanzialmente slegate dal corpo, elementi guidati dall’establishment. Bastava certamente già questo a rimettere in movimento ricercatori, sociologi e filosofi.

Ma l’esplodere della pandemia, focalizzandosi sul “rischio mortale”, e poi, immediatamente, sul contagio da corpo a corpo, sulla necessità di nascondere la faccia dietro una protezione che maschera l’identità, il lockdown e la proibizione dal lavoro e dalla attività, la limitazione della circolazione, il distanziamento sociale, fino ad arrivare ai suggerimenti sui modi “corretti” per accoppiarsi sessualmente, sono oramai davvero materia dirompente per chi si è avventurato ad esplorare “la corporeità e lo spazio sociale”.

Si vuole qui avviare, pertanto, un appuntamento periodico sulla riflessione introdotta dal titolo.

Perché il corpo-soggetto è una prospettiva liberale delle scienze sociali. La dicotomia corpo-soggetto vs corpo-oggetto ha una derivazione schopenhaueriana. Il corpo-oggetto è quello concettualizzato dalla biologia, dall’anatomia, dalla fisiologia. Le neuroscienze non hanno del resto ancora cessato di trovare tutte le risposte necessarie a comprenderne il funzionamento. Ma esiste un altro modo di conoscere il corpo e di averne esperienza. Il corpo-soggetto è il corpo vissuto, il corpo avvertito come atto motorio, come risorsa dell’azione, come schema e struttura di esperienza, come bisogno, come tensione, appetito sessuale, come volontà, detto schopenauerianamente. La natura intenzionale del corpo – come è stato messo in luce dalla fenomenologia – è una concezione unitaria dell’uomo. Il corpo-soggetto è dunque una unità psicofisica, che ha una struttura emozionale e cognitiva soggiacente a ogni comportamento intenzionale.

Una politica che sostiene il corpo-soggetto, le sue intenzioni, le sue azioni, il soddisfacimento dei suoi desideri e delle sue aspirazioni, non può che essere una politica che ha come suo scopo primario la libertà. La prima libera associazione che un corpo-soggetto che aspira alla libertà può fare è l’essere liberato dalla sua dimensione oggettuale, dall’essere dunque un mero corpo-oggetto, strumentalizzato dal potere invasivo dello Stato. La stessa manipolazione operata dal sistema dei media e dalla propaganda politica e scientifica viene realizzata nei confronti di una popolazione di corpi-oggetto e non di soggetti che si vuole informare per renderli liberi e responsabili di agire in uno spazio sociale. Solo una politica liberale – infine - può sostenere i diritti naturali del corpo-soggetto e limitare quella generalizzazione oppressiva decisionale che fa di una popolazione di corpi-soggetto, solo una massa indistinta di oggetti, schiavi di un’azione coercitiva, esercitata dall’esterno. Questa azione esterna, va aggiunto, non è esercitata tanto da altri corpi-soggetto, ma da entità completamente disincarnate, come l’Europa, lo Stato, la scienza, la burocrazia, il sistema mediatico, il sistema finanziario, la responsabilità delle azioni dei quali si perde nell’impersonalità.

(*) Fine prima parte


di Andrea Andy Indie De Angelis