Personaggi della civiltà, Bernini e Borromini

Gian Lorenzo Bernini ed il cattolicesimo imperiale (e sensuale)

Gian Lorenzo Bernini fu il sovrano di Roma e del Barocco, di Roma Barocca. Viene dopo Michelangelo e niente condivide con Michelangelo scultore. Se Michelangelo scolpisce marmi della Grecia classica, Bernini scolpisce i marmi alla maniera ellenistica; maestoso, compatto, austero, Michelangelo, senza aggiunte alle figure; agitato, in movenze, ornato, Bernini, il quale manca della potenza di Michelangelo ma curva, carezza, ammorbidisce le figure, le fa correre, tendere, agitare di sensazioni. Apollo raggiunge Dafne e si vede la corsa di entrambi e Dafne che si cangia in lauro e si inoltra in una condizione che Apollo non può attingere, i due corpi si spingono oltre, Dafne fugge ancora, tutto è spostato in avanti. È un agitarsi furioso quello di Ade, ancora una volta per afferrare una donna, Proserpina, e in Ade c’è volontà strenua di possesso, in Proserpina timore angosciato di venir posseduta, e noi vediamo, sentiamo la violenza della rapina, il timore della rapina; Santa Teresa è estatica, gode di essere trafitta, è una trafittura carnale, un’estasi di orgasmo, una santità erotica, è una Santa, Teresa, ma è una donna nel suo piacere di donna.

La maestosa, scenica fontana di Piazza Navona, il ritratto scultoreo di Ludovica Albertoni, anche lei in deliquio femminile, lo scatto del David. La scultura classica non aveva espressioni di emozioni momentanee, specifiche. Il volto ed il corpo erano al di sopra delle circostanze. Invece, nell’alessandrinismo, nel periodo ellenistico il corpo ed il volto sono congiunti a delle circostanze, un sorriso, la smorfia, al dunque, Bernini è ellenistico, Michelangelo classico, Bernini è meno statuario di Michelangelo, Bernini è più momentaneo, delimitato, circoscritto di Michelangelo ma è più agile, più mosso. È la differenza dell’arte classica con l’arte ellenistica, tra il temporale e l’eterno, l’assoluto ed il relativo, l’essere e il divenire. C’è il Bernini della Controriforma, che fa di Roma Cattolica la Roma Imperiale, il Colonnato che cinge il mondo nella rotondità comprendente delle due braccia davanti a San Pietro, il grande baldacchino di San Pietro, la torsione bronzea, imperiosa, da centro della terra. Questo Bernini consentì al Cattolicesimo di sfidare la Riforma non nelle concezioni teologiche, che sono sciami di parole, ma, di più, nell’arte sacra, e vinse.

Se Caravaggio è un artista dannato, Bernini è un sovrano incoronato dell’arte. Predilettissimo da Urbano VIII, conteso, prepotente. Perfino un tentato omicidio sul fratello, amante dell’amante di Gian Lorenzo, non ne invalida la sorte, cardinali, pontefici, committenti esigevano le sue opere da non condannarlo. Non ci esauriremo nel dire che quelli furono tempi nei quali l’artista dominava pur essendo dominato, dominava i suoi dominatori, perché vi era il sentore della qualità, sì che il “padrone”, cardinale, pontefice, re, banchiere che fosse, obbediva all’artista migliore per essere egli pure reso nell’eccellenza. Bernini visse in pieno i trionfi del suo talento, ritrattista in scultura, architetto non sempre riuscito ma grandioso quando riesce, scultore di arte sacra cattolico-pagana segnò la sua epoca, fu l’anti-Caravaggio, il lato lucente del barocco. Era nato a Napoli nel 1598, morì a Roma nel 1680.

Francesco Borromini e le ombre della luce

Questa materia piegata, slanciata, variata che perde in nitida, asciutta austerità ma si arricchisce di ondulazioni, nicchie, orpelli, luci, oscurità, ombre, sfolgorii, modificazioni sorprendenti, convessità, concavità, colonne giocate, è Francesco Borromini a immaginala e manifestarla, e non la abbiamo soltanto in scultura ma pure in architettura, ed è Francesco Borromini a forgiarla, ripeto. Lo spettatore deve essere preso dal sorprendente, dall’invenzione inaspettata, la Chiesa vuole sbalordire, farsi ammirare dal fedele. L’arte diventa, di nuovo, lo strumento essenziale della religione. Un’arte, però, fantasiosa, che attrae per il sorprendente, lo strabiliante. Borromini è architetto e soltanto architetto e suscita questa nuova architettura dai mille ritrovati, agisce sugli edifici come fossero scultura, li muove al suo bisogno espressivo, li modella senza alcun riguardo per il consueto. Le facciate erano piatte? Ed egli le concava. I campanili rigidi? Ed egli li scalina. Ama il bianco e la luce che sferza il bianco. Niente resta senza tocco. È un gioco ricchissimo, vitalissimo, non gravoso, però, non ha pesantezza il barocco di Borromini, del resto, in Italia, il gravume non esiste. Gli spagnoli, i tedeschi appesantiscono. Chiese, edificò Borromini, sopra tutto. Sant’Ivo, San Giovanni in Laterano, da lui risistemata, San Carlo, Piazza Navona. Tanto per dire. Ebbe vita difficile, specie per l’urto con il Bernini. Morì suicida, ma non è sicura la tradizione del fatto. Era nato nel 1599. La morte avvenne nel 1667.

Aggiornato il 17 settembre 2021 alle ore 12:31