Il Falstaff di Shakespeare tra fake news e comari

“Sarebbe piaciuto a Shakespeare” commenta la professoressa di lingua inglese mentre applaude, a scena aperta, la trasposizione moderna del “Falstaff e le allegri comari di Windsor” per la regia di Marco Carniti, in scena al Gigi Proietti Globe Theatre di Roma (fino al 3 ottobre). Ne parliamo perché la proposizione dell’opera del drammaturgo inglese rappresenta la risposta teatrale all’odierno surplus liquido di beffe e derisioni. “Ci sentiamo tutti presi in giro da qualcuno – spiega Marco Carniti, che ha curato anche l’adattamento e la traduzione – cosicché Falstaff e la sua brigata siamo noi, i sentimenti e le reazioni che viviamo, sentendoci continuamente gabbati”.

Insomma, lo Shakespeare di Carniti irrompe nell’era delle fake news, dei complotti, delle verità alterate e in quell’universo caleidoscopico dei generi e delle relazioni, dimostrando tutta la sua attualità e intuizioni. La proposta del regista, che si era già cimentato col tema del potere in “Riccardo III” nel 2019, è quella di superare il concetto di tempo e di rigore drammaturgico per calare nel nostro quotidiano la lezione del Bardo attraverso scene (Fabiana Di Marco), costumi (Gianluca Sbicca), musiche (Mario Incudine) e sottolineature stilistiche. Il risultato è una spettacolare “hellzapoppin’”, in cui gli attori con rapida tecnica interpretano le tradizioni e le cadute, i rigori e i vizi, le mogli comari e i mariti “con le corna”, la gelosia e il possesso, la vendetta e la punizione. E in cui il seduttore Falstaff (Antonino Iuorio) è colto nella trappola delle sue adulanti finzioni, che diventano secondo il regista “l’esempio della decadenza fisica e morale dell’uomo, pagliaccio in un mondo che è pagliaccio”.

Secondo la leggenda, William Shakespeare scrisse l’opera in quattordici giorni, per volontà della regina Elisabetta I, conquistata dal personaggio di Falstaff già nell’Enrico IV e V, le cui citazioni tornano anche nel testo teatrale. Falstaff è il seduttore senza scrupoli in un intreccio di bugie e calunnie, ma le sue prede, Madama Ford (Antonella Civale) e Madame Page (Valentina Marziali), sono donne “allegre” nel senso nobile del termine. E cioè libere di giocare la trama, incastrando l’impenitente bugiardo e gabbando la gelosia dei mariti. Questa “libertà” femminile era così chiara al drammaturgo inglese che per “comari” usò il termine “gossip”, con cui ancora oggi si identifica l’arte da audience del pettegolezzo. Marco Carniti ripropone la trovata, rompendo il paradigma della guerriera sacrificale e assegnando alle donne il ruolo di dominatrici sia di Falstaff e sia dei sospettosi mariti, Master Ford (Alessandro Averone) e Master Page (Mauro Santopietro).

La questione dei generi era già nota ai tempi e i limiti alla possibilità per le donne di interpretare ruoli femminili fu occasione in Shakespeare per superare le appartenenze a favore dei caratteri universali. In questo senso il lavoro di Marco Carniti è un pregevole contributo all’emancipazione intellettuale e un’occasione per appropriarsi delle abilità necessarie al talento di vivere. “Ho scelto di far interpretare Madame Quickly a un uomo non solo per rievocare la tradizione elisabettiana – spiega il regista – ma per fare un omaggio a Gigi Proietti, che nella sua versione della commedia aveva dato il ruolo a Virgilio Zernitz”. E nelle vesti di Madame Quickly, Patrizio Cigliano offre sicuramente una interpretazione di alto livello tecnico e umoristico.

Sì, questo adattamento sarebbe piaciuto a Shakespeare, il più moderno dei cantori dell’amore, il poeta che aveva ben presente la tragicommedia della vita e le ambiguità dei ruoli, ma che aveva indicato già allora la soluzione nel gioco delle parti e nel finale da grande compagnia di quell’opera buffa che è l’esistenza. La messa in scena di Carniti usa il pop e il rock, i servi metallari, le comari influencer, i mariti status symbol e padroni, sullo sfondo di matrimoni combinati e di furfanti per cui “tutto ha un prezzo”. Il denaro è l’inganno, l’innocenza è pre-sessuale e tra reminiscenze del “Così fan tutte” di Mozart l’intricata trama si avvia a conclusione in un crescendo allegorico alla Maneskin, evocati nel pandemonio finale.

Tuttavia, al centro resta sempre l’uomo, scomponibile ma inalienabile. Perché l’uomo, secondo Shakespeare, è fatto della stessa materia di cui sono fatti i sogni. Una lezione necessaria soprattutto ai giovani, per cui è auspicabile che questo lavoro arrivi superando le difficoltà del Covid-19, utilizzando la televisione per imparare a ridere anche delle lacrime. Nel primo anno al Global senza Proietti non si poteva fare meglio: “Ci sentiamo orfani – conclude Marco Carniti – ma Gigi è in ogni pensiero e ogni azione”.

Aggiornato il 21 settembre 2021 alle ore 10:43