“La Padrina”: quando il malaffare è un’arte

Come si diventa figli d’arte? Risposta: quando la genetica trasporta anche il talento tra due o più generazioni successive. Nel film La Padrina (tratto dal romanzo La Daronne di Hannelore Cayre, edizioni Le Assassine) del regista francese Jean-Paul Salomé, con interpreti principali Isabelle Huppert e Hippolyte Girardot, in uscita nelle sale italiane dal 14 ottobre, il ruolo femminile sostituisce con grande abilità e spregiudicatezza quello ben più noto del grande boss mafioso e maschio. In particolare, ciò accade quando si ha alle spalle una solida tradizione di famiglia nel commercio illegale di hashish dal Magreb alla Francia. Tutto ha inizio con Patience (Isabelle Huppert) che fa l’interprete-traduttrice giurata dall’arabo al francese per l’Ufficio antidroga della Polizia nazionale, con un marito cittadino dell’Oman scomparso venti anni prima; due figlie conviventi in età post-adolescenziale; due genitori magrebini, di cui un padre defunto e una madre confinata in una Casa di riposo a “cinque stelle” per anziani affetti da demenza senile.

E sarà proprio una liason dangereuse che lega Provence al nosocomio a portarla diritto filato a un carico di droga superiore alla tonnellata! A parte la fatica immensa di trasportare intere valigie di erba in un vano scantinato con porte blindate, rimane il fatto colossale di farla in barba e sotto il naso degli stessi colleghi di lavoro, per piazzare tutta la merce a un qualche grossista locale. Saranno proprio le ottime conoscenze acquisite come traduttrice-interprete da Patience in molte centinaia di intercettazioni telefoniche, a fornirla della bussola di contatti pericolosi, per stare a galla in un mare di coccodrilli e grandi squali, che infestano il mercato e lo smercio di fumo nelle principali piazze della città.

Il film, molto acuto per certi dettagli, come saldare a qualcuno un debito in contanti perché, a sua volta, paghi in nero lavoratori immigrati ipersfruttati, si addentra nella vita quotidiana dei sospetti trafficanti e spacciatori, ripresi nelle loro attività sul campo, assieme alle loro mandrie di cavalli (corrieri di strada), con la solita costellazione di violenze che si può bene immaginare. Decisamente multietnico e multiculturale, il film in realtà presenta ben due Padrine. Infatti, l’alter ego di Patience è una versione cinese d’importazione, impersonata da un’ambigua amministratrice di condominio, talmente ricca e potente dietro il suo mascheramento di umile donna, da poter riciclare a prezzi da strozzino denaro liquido senza limiti di quantità, purché nel suo doppio fondo cassa resti il 30 per cento delle somme riciclate. Un altro elemento di colore asseconda il detto popolare de “I cinesi non muoiono mai”, dato che nessuno ha mai visto celebrare un solo funerale di uno di questi nostri inafferrabili ospiti metropolitani.

La Huppert è davvero magistrale nei suoi travestimenti, nel modo di gestire il suo amante-capo d’ufficio, un commissario di polizia onesto all’inverosimile ma anche molto innamorato di Provence. Proprio lui, sarà costantemente un’ottima fonte per evitare all’ultimo minuto i grandissimi guai conseguenti alle improvvise retate di pusher e di piccoli grossisti da parte dell’Antidroga francese. Doversi inventare un ruolo da boss solitario, significa avere in dotazione per nascita, come si diceva, un sangue freddo eccezionale per smerciare all’ingrosso la roba di chez-soi, consegnandola con mille espedienti funanbolici a gente assai poco raccomandabile, passando per di più indenne attraverso le maglie di una feroce guerra per bande, a una della quali apparteneva il carico di cui si era appropriata Patience.

In ogni occasione, i vasi di fiori contengono un’insidia, un orecchio indiscreto o un colpo in canna e tutto, ma proprio tutto, nel fruscio della vita può preludere all’assalto finale, alla perdita dell’ingente bottino e, di conseguenza, della libertà. Un gioco pericoloso che Patience sa giocare fino all’ultimo, per tornare incolume al berceau della sua infanzia, avendo sepolto ma, al contempo, disseppellito i suoi ricordi di gioventù. La suspence è discreta e mai eccessiva e prevale l’humor nero sul pathos della delinquente improvvisata, sbocciata dalla crisalide di una donna assolutamente perfetta che aspettava la sua occasione imperdibile per giocare il ruolo desiderato da sempre di Daronne.

Aggiornato il 11 ottobre 2021 alle ore 12:10