Ebbe la capacità spontanea, per dono naturale, di associare le parole alle situazioni, sì che sapeva esprimere il dolore con termini, suoni, immagini che ci fanno sentire il dolore; e la felicità con immagini, cadenze, termini che ci fanno sentire la felicità; e la paura, e l’odio, e tutte le cime e i precipizi della vita, e le pianure, e le zone oscure. Fu come un Oceano che sprofonda, si gonfia, si stende, si increspa, si avventa, si scontra, sempre potente anche quando è calmo, sempre di vasto respiro, sempre eccedente. Non c’è posto per uomini correnti, o grandi o nessuno, e l’essere grandi vuol dire non dar conto al male, al delitto, anzi: compiere ogni misfatto pur di vivere in pieno. Inghilterra, Scozia, Italia che siano i luoghi di tali personaggi. C’ è sempre qualcuno che esagera se stesso, e ha in mente che reca il mondo nel proprio destino, che padroneggerà, sia che ami, sia che avversi. Se ama sarà l’amore maggiore mai esistito, se odia. L’odio più mortale. “Tragico”. Il tragico esiste quando e se l’individuo sente la propria individualità in modo radicale, come centro essenziale del tutto, e la sua vita e la sua morte valgono più dell’intera umanità e del Cosmo. Sì che vincere o perdere, vivere o morire costituiscono un evento apocalittico, muore o vive l’Io, si afferma o è sconfitto l’Io. E l’Io è la totalità su due gambe. È l’epoca dei grandi ritrattisti. È l’epoca delle monarchie assolute. È l’epoca degli imperi. È l’epoca dell’aristocrazia. È l’epoca in cui l’uomo ha valore in quanto uomo di valore, non perché uomo.

In molte religioni viene concepito un Dio che crea persone e cose, William Shakespeare è di certo il maggior creatore di personaggi della storia umana. Li crea con la combinatoria delle parole, degli eventi, di una facilità associativa di immagini che rendono la realtà quasi che le parole contenessero le cose manifestandole in parole. E sonorità, magniloquenza, fioritura, verve, arricchimenti, fluvialità, sempre con i termini e le frasi necessari per l’emozione o la situazione che si vuol generare, e mai un calcolo degli effetti, quasi fosse naturale quanto viene costruito, ma costruito con un impeto, un’ispirazione che rendono involontaria la volontà. William Shakespeare mostrò che le parole riescono a farsi e darci la realtà. Con le parole, nelle parole. Sì che abbiamo un doppio stupore, le parole ci danno, ci fanno la realtà ma restano parole, quindi ammiriamo le parole in quanto ci danno, ci fanno la realtà e pure in quanto ce la danno e ce la fanno con le parole.

Chi parlava, agiva, si dava importanza, e dava importanza, da ciò un linguaggio sostanzioso, alto dalla terra, complesso di pensiero e scelta di parole. I personaggi di Shakespeare non comunicano, si esprimono, si avvilirebbero se la parola fosse soltanto il dire e rispondere, essi trasformano il semplice dire e ridire in frasi alterate da ornamenti, metafore, sonorità, elucubrazioni, giochi, funambolismi, con dentro gli umori della vita, la vita che anima ogni rigo di Shakespeare.

Cenni biografici

Per secoli, ed ancora oggi, è in discussione l’identità di William Shakespeare. Pare ormai accertato che sia esistito proprio un William Shakespeare, nato a Stratford-upon-Avon, Warwickshire, nel 1564 e morto nel 1616, che si sia sposato, che abbia avuto tre figli, sepolto nella cittadina natale dopo aver vissuto a Londra, attore, autore, impresario, amico e protetto da qualche illustre personaggio. Scrisse anche tragedie sulle vicende storiche del suo Paese, sonetti celebratissimi, poemetti, tra cui Venere e Adone. Per risorse di linguaggio e capacità di non retrocedere nel rappresentare la disposizione dell’uomo a compiere il male consapevolmente non lo eguaglia alcuno, pur considerando che nell’epoca elisabettiana gli Autori non si tiravano indietro, all’opposto, nel dare rappresentazione della feroce tendenza dell’uomo al delitto, al tradimento, all’odio, alla rivalità, alla volontà di dominio. Tra costoro Christopher Marlowe (1564-1594). L’individualismo forsennato presente in tutti gli elisabettiani, e nella società, diventa parossistico nel Tamerlano, di Marlowe, appunto, mentre nel Dottor Faust ha presenza la magia diabolica come tentativo di vivere oltre le comuni limitazioni, il che suscita un personaggio, Faust, di inarrestabili variazioni successive. Marlowe scrisse anche la tragedia Edoardo II, ed il poemetto Ero e Leandro. Ma i tragici elisabettiani furono molti, ciascuno con qualche opera, almeno, possente e tragica. Va nominato John Ford (1586-1640), il suo testo Peccato che sia una sgualdrina, è ancora felicemente rappresentato.

Aggiornato il 02 dicembre 2021 alle ore 13:08