“Quando Hitler rubò il coniglio rosa”: Storia di ebrei erranti

Ambientazione: Berlino, dieci giorni prima delle elezioni tedesche del 1933, che avrebbero dato la maggioranza parlamentare al Partito hitleriano. Un tranquillo interno di una agiata famiglia ebrea, praticamente perfetta. Il padre, Arthur Kemper (Oliver Masucci), un noto critico teatrale molto stimato, giornalista e scrittore. Insomma, una persona che vive intensamente di parola scritta ed è un analista acuto e profondo di società e di politica. Poi, c’è sua moglie, Dorothea Kemper (Carla Juri), una madre giovane bella, intelligente e molto determinata. Accanto a loro, la governante Heimpi (Ursula Werner), una tata tedesca favolosa che, giustamente, propende per gli affetti e ignora le questioni di razza.

Dall’esterno, la coppia è assistita dall’affetto e dalla presenza costante dell’amatissimo zio Julius (Justus von Dohnányi). Infine, i due figli, Max Kemper, un maschio più grandicello, e una bellissima femminuccia di nove anni, creativa e particolarmente intelligente, Anna Kemper (Riva Krymalowski), la protagonista della riduzione cinematografica del racconto autobiografico di Judith Kerr Quando Hitler rubò il coniglio rosa, per la direzione della regista Caroline Link (Premio Oscar per Nowhere Africa). Il film sarà in uscita nelle sale italiane dal 28 aprile.

In quel lontano giorno prima dell’avvento del nazismo, l’idillio famigliare è interrotto da una misteriosa telefonata in cui qualcuno avverte la famiglia Kemper di essere su di una lista di proscrizione dei nazisti, per cui, una volta salito Hitler al potere, sarebbero stati tra le prime vittime della propaganda antiebraica nazista, vista l’esposizione pubblica antihitleriana di Arthur. E qui ha inizio l’ennesima storia di ebrei erranti, con rocambolesche fughe attraverso l’Europa libera, in cui quasi per miracolo madre e figli, durante il loro avventuroso trasferimento in Svizzera per raggiungere Arthur, sfuggono all’occhio cattivo degli impiegati nazisti, ma non possono evitare quello che accadrà poi a tutti gli ebrei che hanno casa e lavoro in Germania: l’esproprio delle proprietà e la messa ai margini della società tedesca come appestati e lebbrosi (con i quali nessuno vuole più avere contatti e rapporti), prima del trasferimento nei campi per la Soluzione finale.

Così anche la bella casa borghese dei Kemper viene confiscata e tutto ciò che è in essa contenuto, mobili, quadri e suppellettili, viene portato via, compreso per l’appunto il coniglietto di peluche rosa di Anna, che ne subirà lo strazio da quel “furto” per il resto della sua adolescenza, accusando affettivamente la sottrazione dolorosa di quello che in psicanalisi viene definito come “L’Oggetto transizionale”.

Ma anche il resto del mondo libero non è una passeggiata per un intellettuale ebreo tedesco degli anni Trenta del secolo scorso: la Svizzera, con il suo costo alto della vita, che gli prosciugherà i residui risparmi a causa di una malattia di Anna e non darà ad Arthur di che vivere a sufficienza. La Francia, successivamente, dove essere ebrei non aiuta di certo, essendo accompagnanti costantemente dalla sorda ostilità dei loro ospiti, compresa un’arcigna, disgustosa padrona di casa dal braccino cortissimo. Poi, infine, l’arrivo in Inghilterra, Patria adottiva di Anna-Judith.

Le vicende narrate sono tutte osservate e vissute sotto la lente di ingrandimento o di rimpicciolimento (per quanto riguarda i drammi, in quest’ultimo caso) di un’adolescente che osserva il mondo circostante ancora con ingenua fiducia, disegnando con colori posati e tranquilli tutto ciò che la circonda, dalla natura ai personaggi, soprattutto compagni di scuola e familiari. Perché, mentre per un Arthur poliglotta (così come la moglie Dorothea) le lingue non sono un problema, la cosa invece si fa piuttosto complicata per i germanofoni puri, come Anna e Max, che debbono ri-apprendere ex novo a esprimersi nella lingua del Paese di adozione o di rifugio.

E la Svizzera per Anna non sarà una passeggiata, inserita nelle classi ordinarie francofone, in base alla sua età, con compagni coetanei con i quali deve rapidamente apprendere a rapportarsi, guardando e scoprendo con i suoi occhi intelligenti e la sua splendida bellezza di ragazzina una cultura completamente diversa, in cui ad esempio il ragazzino innamorato, quando è in branco, le lancia manciate di sassolini per dichiarare il suo sentimento. Ma, Anna ha una risorsa fenomenale per superare la difficoltà di quel suo errare famigliare, dove per fortuna le separazioni dai genitori e dall’adorato zio non sono mai così lunghe, anche se Julius pagherà a caro prezzo il suo intestardirsi nel voler rimanere cittadino nella sua terra divenuta ostile.

Il segreto di Anna? Semplice, come l’Uovo di Colombo: interiorizzare viaggi e rapporti con le persone come un autentico tesoro esperienziale, per cui oltre a salutare prima della partenza con affetto e nostalgia gli altri essere umani, passa ad accarezzare e ringraziare idealmente mura, strade, oggetti che l’hanno accompagnata durante quella permanenza. Perché, ed è il messaggio di Anna per noi, il viaggio è mito, esperienza, rinnovamento, cultura e curiosità: tanta curiosità per le cose vissute e introiettate, da ritrasmettere a beneficio degli altri attraverso un proprio racconto, sempre con entusiasmo e senza timori, in modo da esorcizzare il Male. Bel film, decisamente.

Aggiornato il 21 aprile 2022 alle ore 12:34