Monsignor Ravasi fa il punto sulla ricerca cristologica

Che differenze precise esistono tra i quattro Vangeli canonici – Marco, Matteo, Luca e Giovanni – e in che modo, da quale diverso punto di vista, ogni evangelista ha visto Gesù di Nazareth? Monsignor Gianfranco Ravasi, arcivescovo cattolico e cardinale, prefetto emerito della Biblioteca Ambrosiana di Milano, confermato da Papa Francesco, nel 2014, presidente del Pontificio consiglio della cultura, biblista ed ebraista autore di più di 150 volumi, ha licenziato ultimamente, per Raffaello Cortina editore (Milano 2022, 256 pagine, 19 euro), una Biografia di Gesù – Secondo i Vangeli che fa attentamente il punto sullo stato attuale della ricerca cristologica spaziando appunto sul terreno specifico dei quattro Vangeli canonici. Questa “nostra biografia di Gesù”, precisa nell’introduzione lo stesso Ravasi, “è condotta camminando, in un delicato equilibrio, sul crinale tra fede e storia. Sono appunto queste, le coordinate anche della ricerca di Ravasi: “Condotta – avverte sempre l’autore – con l’attuale strumentazione storico-critica e teologica di cui si spreme in un certo senso il succo”. Puntando non “a ricostruire accademicamente un personaggio e la sua vicenda”, ma “a ricomporne ritratti da angolature diverse”: quelle, appunto, dei quattro Vangeli canonici.

Prima di addentrarsi nell’esame dei Vangeli, Ravasi passa in rassegna le altre fonti storiche, non cristiane, disponibili su Gesù, dai romani Tacito, Svetonio, Plinio il giovane agli ebraici Talmud e Giuseppe Flavio: lo storico, filoromano, che, in un celebre passo delle sue Antichità giudaiche (peraltro, con possibili interpolazioni cristiane) parla del Nazareno. L’autore, però, accenna appena all’importante questione sull’effettiva data, e lingua di composizione, dei Vangeli. Per i quali si è a lungo parlato, dagli anni Novanta in poi, di possibile scrittura in data più vicina all’esecuzione di Cristo, prima di quella generalmente convalidata dalla Chiesa e dagli studiosi, e non in greco, bensì in ebraico. E punta subito, invece, a tracciare gli “identikit” dei quattro evangelisti, a definire esattamente il profilo di ogni Vangelo e, soprattutto, l’ottica con cui i quattro hanno visto Gesù di Nazareth.

Marco (che sembra aver ormai “sorpassato” Matteo come primo evangelista, scrivendo probabilmente tra il 65 e il 70 d.C., poco prima della distruzione romana di Gerusalemme, e risultando – a un attento esame filologico – alla base, in realtà, della metà circa del testo matteano) è un Vangelo scritto probabilmente per un ambiente di origini pagane, ma già informato sulla Bibbia e sul Cristianesimo, un ambiente tipicamente ellenistico. “Matteo – prosegue Ravasi – è il Vangelo più popolare: scritto, verosimilmente, soprattutto per un pubblico ebraico (come suggeriscono le tante citazioni di passi veterotestamentari e l’uso di molti termini ebraici o aramaici), ma nel contesto delle incipienti tensioni del I secolo d. C., tra giudaismo ufficiale ed “eretici” cristiani. Ravasi evidenzia, in proposito, la severità con cui Matteo tratta il Sinedrio ebraico e la folla che, a Gerusalemme, reclama, dinanzi a Ponzio Pilato, la morte di Cristo; e, all’opposto, la benevolenza riservata a Pilato e alla moglie Claudia Procula (il che, aggiungiamo, può rafforzare la tesi, avanzata già nell’Umanesimo, di una scrittura almeno di alcuni Vangeli sotto pressioni romane, e in chiave fortemente antiebraica).

Luca, il medico (e, secondo la tradizione, pittore), ebreo siriano di Antiochia, è l’evangelista più colto, discepolo di San Paolo e autore del terzo Vangelo, favorevole all’espansione missionaria della Chiesa in Grecia e a Roma: dove probabilmente scrisse appunto il suo Vangelo e gli Atti degli Apostoli, destinandoli al mondo dei cristiani d’origine pagana. Unico Vangelo – insieme a quello di Matteo – a parlare dell’infanzia di Cristo, quello di Luca è anche l’unico a dichiararsi – sin dal prologo – nato da un preciso progetto editoriale dell’autore, e, anzi, frutto di sue “accurate ricerche su ogni circostanza” riferita. Con parziale correzione, quindi, dell’intento non propriamente storico, bensì “kerigmatico”, di diffusione della fede in Cristo, generalmente seguìto dagli evangelisti. Il Vangelo di Giovanni, infine, scritto probabilmente da quel Giovanni che, dopo esser stato il giovane “discepolo prediletto di Gesù”, e aver a lungo organizzato e diretto le comunità cristiane dell’Asia Minore, morirà a Efeso (attuale Turchia), sotto Traiano, nel 104 d. C., è quello che culturalmente definiremmo il più interessante, chiamato già da vari Padri della Chiesa il “Vangelo spirituale” per eccellenza.

Scritto anch’esso in greco, il testo giovanneo è opera d’un uomo colto, di formazione ellenistica: che sin dal capo I (“In principio era il Verbo”, “Logos” nel testo greco originale) rivela la presenza di vari spunti neoplatonici, e anche motivi esoterici (da qui il forte interesse da sempre manifestato, per questo quarto Vangelo, dalla Massoneria: che in molte logge, infatti, durante i “lavori” tiene aperto, sul tavolo “rituale”, proprio Giovanni, alla prima pagina). Ravasi concorda solo parzialmente con quest’ottica: rilevando, non a caso, che la mancanza di riferimento all’eucaristia nei ben tre capitoli dedicati da Giovanni all’Ultima cena (mancanza evidenziata, a suo tempo, da un autore fortemente laico come Corrado Augias nella sua celebre Inchiesta su Gesù, scritta, col biblista Mauro Pesce, per Mondadori nel 2006) è, però, compensata dal discorso in precedenza tenuto da Cristo, proprio sull’eucarestia, nella sinagoga di Cafarnao (Gv., Capo VI). Dopo essersi soffermato sull’infanzia di Cristo, sulle sue parole e le sue azioni (non manca, poi, un sintetico capitolo finale sui Vangeli apocrifi), Ravasi si concentra sul suo processo – ebraico e romano – e su condanna, morte e Risurrezione.

Nessun’altra azione giudiziaria contro una persona – ha scritto, nel 1968, lo storico inglese Samuel G. F. Brandon – è nota a un numero altrettanto grande di persone in tutto il mondo, e nessuna ha avuto, su tutta la storia umana, effetti così incalcolabili come nel caso, appunto, del processo di Gesù. L’autore, dopo essersi calato obbiettivamente nelle realtà e, soprattutto, nelle mentalità – ebraica e romana – di quel momento, contro qualsiasi tentazione di leggere la storia con gli occhi di oggi, si mantiene nel giusto equilibrio tra le due tesi estreme sulle responsabilità della condanna di Cristo prevalse in passato. Quella – veicolo, nel tempo, del più bieco antisemitismo, di matrice veterocattolica e, in seguito, di estrema destra – che attribuiva la colpa della Crocifissione ai condizionamenti esercitati dai “perfidi giudei” sul governatore romano Ponzio Pilato (incredibilmente ritratto come un burattino nelle mani dei maggiorenti ebraici e dei loro scalmanati di piazza: quando proprio Pilato, anni dopo, secondo alcuni storici, da Tiberio sarebbe stato destituito per i suoi eccessi repressivi nei confronti degli ebrei).

Come l’altra, opposta, che indica nel solo Pilato, fedele interprete del volere di Roma, il responsabile della condanna del Nazareno: precursore di Gandhi e Martin Luther King nella prima formulazione della nonviolenza come efficace mezzo di lotta al potere (in effetti, nei primissimi tempi del Cristianesimo, quando ancora non era apparsa evidente la dimensione “metapolitica” del messaggio di Cristo, proprio quest’aspetto, conseguente al rigetto della figura dell’imperatore come “Dominus ac Deus”, sembra esser stato ciò che i romani più temevano dalla nuova religione). Ci fu in sostanza, rileva Ravasi, un rovinoso intreccio di ambedue i fenomeni: ricordando che la tesi dell’ebraismo colpevole di “deicidio”, comunque, è stata definitivamente ripudiata dalla Chiesa cattolica già con la Dichiarazione “Nostra Aetate” del Concilio Vaticano II, fortemente voluta da Papa Giovanni XXIII.

E la Risurrezione? Nell’ultimo capitolo, il cattolico Ravasi, senza nulla voler imporre in chiave di fideismo intollerante, ribadisce laicamente (nel senso migliore del termine) che, su temi come questo, di così straordinaria, coinvolgente, multiforme rilevanza, la storia non può che cedere il “turno” alla fede, quindi alla specifica risposta di ognuno di noi. Dopo aver comunque rilevato – come già fatto, tra l’altro, anche dal giornalista cattolico Vittorio Messori nel saggio del 2000 Dicono che è risorto – che la presenza di un gruppo di donne (Maria di Magdala e altre) allo scoperta del sepolcro vuoto di Cristo, citata dai Vangeli, è, almeno concettualmente, un elemento a favore della veridicità del racconto. Se si trattasse d’un’invenzione, infatti, gli evangelisti mai avrebbero messo in scena queste presenze femminili come testimoni della tomba vuota di Gesù: in un Paese in cui le donne, secondo il diritto semitico, non erano abilitate a testimoniare in modo giuridicamente valido.

Biografia di Gesù – Secondo i Vangeli di Gianfranco Ravasi, Raffaello Cortina editore, Milano 2022, 256 pagine, 19 euro

Aggiornato il 29 aprile 2022 alle ore 13:16