Tommaso dAquino pur essendo cattolicissimo, medievale e italiano, è un greco. Della Grecia mantiene e manifesta la razionalità, una razionalità ardimentosa che, appunto come manifestavano i greci, osa indagare l’estremo e non arretra, anzi si accanisce quanto più arduo è l’impegno. Questo rende la razionalità greca unica, non quieta l’indagine, non la sopprime, l’opposto. Vuole spingersi, si inoltra, accetta la complicazione, la suscita, la risolve, la dissolve. Di complicazioni Tommaso ne ha sterminate. Le religioni sono la presenza dell’assurdità. O si accettano senza discuterle come caratteristiche di un popolo, o si affrontano con la ragione, o con la fede.

Tommaso cercò di affrontarle con la ragione e con la fede insieme, avendo però una potentissima disposizione per la ragione, fede nella ragione, il che gli complicò moltissimo la filosofia e credo la vita. Ha il coraggio di non sfuggire la complessità. Abbiamo visto, cerca di dimostrare l’esistenza di Dio, crede di riuscirci ma noi ne dubitiamo. Cerca di stabilire rapporto tra Dio e il mondo, evitando un mondo divinizzato e un mondo distaccata da Dio, ma la soluzione di un mondo analogico a Dio è una frase, un’espressione, non una soluzione. In ogni caso ha il coraggio di affrontare questi dilemmi. Altro dilemma: se l’anima è uguale per tutti in quanto puro spirito, com’é possibile che gli uomini si differenziano? Non è questione da poco. La soluzione di Tommaso è tanto assurda quanto necessaria. È il corpo che differenzia. L’anima entra in un corpo differente e quindi assume una unità corpo-anima che differenzia.

Tommaso si inoltra nella problematica. Quando l’anima entra nel corpo e quando esce dal corpo perde l’individualità? Non sono questioni da poco, anzi terribili questioni. Anche stavolta Tommaso è più coraggioso nell’affrontare il problema che nel risolverlo. Sostiene che l’anima conserva un’impronta del corpo anche se il corpo lo riavrà nel giudizio universale e quindi non perde la sua individualità. Stravaganze metafisiche. Queste problematiche, che rasentano l’assurdo e quasi una fantasia teologica, tuttavia sono fondamentali per un fedele problematico. Ed è questo che rende Tommaso essenziale per la Chiesa. Egli in ogni caso da una risposta. Non evita la questione, e alla Chiesa basta per offrire una soluzione. Che poi questa soluzione abbia la minima sensatezza è altra faccenda. Prosegue Tommaso nella sua coraggiosa investigazione, e tocca una problematica che gli sta a cuore, come stava a cuore al suo “dio-umano” Aristotele. Quale conoscenza ha l’uomo della realtà? Aristotele nella interpretazione che ne davano gli arabi, soprattutto Averroè, aveva concepito l’intelletto attivo come anima che anima la percezione, la rende cosciente, attiva, e quest’anima attiva è universale, pervade tutti gli uomini. Non esisteva un’anima personale, un intelletto attivo personale.

Questa concezione di Averroè era stata accettata da un teologo francese, Sigieri di Brabante (1235-1282). Era un cattolico, anche se male accettato dalla chiesa. Che vuol dire che l’anima non é personale? Ovviamente che non è immortale come anima individuale. È una radicale negazione dell’essenzialità cattolica: l’anima personale è immortale. Il giudizio nell’aldilà è concepibile se vi è un’anima personale immortale che risponde del bene e del male. Non essendoci un’anima individuale, l’aldilà sparisce e la Chiesa sparisce. Tommaso contrasta impulsivamente, in maniera quasi violenta questa concezione. Per il filosofo vi sono tante anime attive quanti individui, ogni individuo ha la sua anima, immortale e giudicabile nell’aldilà.

L’intelletto attivo è anche a fondamento della conoscenza della realtà. Esso permette che le sensazioni dovute all’esperienza dei sensi e conservate nell’intelletto passivo diventino astrazioni intellettive, le astrazioni avvengono operando sulle realtà individuali. È la famigerata disputa degli Universali. Gli Universali sono, per San Tommaso, in Dio, come modello ideale prima della realtà (ante rem), poi diventano realtà nella cosa creata (in re), quindi nella mente dell’uomo come concetto (post rem). L’universale è la forma la quale permette la conoscenza assoluta della realtà. È una determinazione del tutto aristotelica anche se con aspetti platonici, infatti l’ante rem, vale a dire un universale prima dell’incarnazione nella realtà, è ciò che Platone aveva espresso nel mondo delle idee, dove esiste l’universale senza individuale.

Queste opinioni di Tommaso, così comprensibili, sono alla base del Cattolicesimo. È quel che facciamo comunemente: vi è un albero, un altro albero e così via. Non diciamo questo, quello, quell’altro albero, diciamo l’albero in generale. Ma anche in tal caso la questione degli universali si complica e non è una questione da poco. Se gli universali non esistono, come dicevano i sofisti, crolla la stessa idea di Dio, che è l’universale per eccellenza, crolla l’idea di essere. Abbiamo un universo di entità singole, frastagliato, disunito. E dei filosofi, specialmente francesi, che in quell’epoca furono di sicuro i più devastanti nella dialettica critica, misero in discussione gli universali. In specie Roscellino (1050-1150) e Pietro Abelardo. Sono figure interessantissime. Il primo considera gli universali soltanto parole, flatus vocis. Quando noi diciamo “albero” non diciamo nulla di reale o soltanto una parola, non c’è “albero”, ma quell’albero con quelle foglie, quel ramo e così via. Abelardo rimedia alquanto, considera gli universali un elaborato mentale che serve ad una convenienza dialogica. Tommaso è di tutt’altro avviso. I concetti esistono realmente e ci fanno conoscere le cose.

Egli è di un realismo assoluto. La realtà può essere concettualizzata e il concetto è realtà. L’uomo tiene in pugno attraverso la conoscenza la realtà. Siamo ancora ben distanti dalla fine dei contrasti. Questi monaci vivevano in tane conventuali, ma battagliavano a colpi di libri, costruendo la nostra, e se Tommaso restava non del tutto “crocifisso” al tavolo di lettura e scrittura, Roscellino ebbe la vita scaraventata nelle ripulse dottrinali della Chiesa, mentre Abelardo si appassionò di amore e dannazione, costituendo con Eloisa un legame tra i più sensuali e dolorosi, che sormonta con le missive tra gli amanti l’opera filosofica, comunque da conto, di Abelardo (la sua dialettica più problematica di quella tomista, aperta, diremmo).

Fingendo una periodizzazione al modo cinese o positivista diremmo: Epoca greca e romana, Epoca del mondo mondano e degli Dèi terreni; Epoca Medievale, Epoca del Mondo mondano metafisico; Epoca contemporanea: Epoca del Nulla metafisico e del Niente terreno. Ma è una esagerazione. Noi amiamo la vita e la tuteliamo dalla distruzione. Al pari di quanto concepì Tommaso d’Aquino nella sua teoria morale e politica.

Aggiornato il 09 maggio 2022 alle ore 13:21