L’Europa come civiltà estetica

lunedì 23 maggio 2022


Non bisogna retrocedere, tutt’altro. Non bisogna consentire alla notte di avanzare perfino nelle ore mattutine. Non bisogna farsi ingannare dal frastuono e dalle nuvole, comunque ciascuno agisca secondo il proprio sentire, se lo ha, e mantenere, se la reputa, la certezza che la cultura e l’arte sopravvivono. In genere la conoscenza, insomma, la civiltà culturale, senza di che una società non lascia residuo, giacché è comprovato che un’opera d’arte regge millenni, e il resto è preso dal vento del tempo e disperso. Sicché la guerra reale, quella che può rovinarci non è tanto o solo quella che si combatte con i mezzi della guerra, ma quella che si combatte con i mezzi culturali. Ci troviamo davanti a due fronti: uno che ci viene da forze straniere e l’altro che ci viene da noi stessi.

La guerra con le forze straniere è proposta da quei gruppi, quelle etnie che furono da noi oppresse e che rivendicano legittimamente la loro presenza. Intendo afroamericani, indiani, asiatici. Costoro, ciascuno a modo proprio, esigono di essere rivalutati e spesso lo fanno in guise inaccettabili imponendo o pretendendo di imporre la negazione della nostra cultura. Questo non possiamo accettarlo proprio in nome dello stesso diritto o presunto diritto che hanno gli altri di contestarci. Se vi è il diritto altrui di valutare se stessi, c’è il nostro diritto di valutare noi stessi. Siamo stati imperialisti? Abbiamo schiavizzato altri popoli? Abbiamo sfruttato altri popoli? Siamo stati razzisti? Si. Ma è la nostra storia, in alcuni aspetti da vantarci, in altri da svergognarci, se c’è popolo che possa pretendere di non avere orrori nella sua storia si presenti al tribunale della civiltà e vedremo se risponde al vero la sua pretesa. In ogni caso, di molto o poco possiamo vantarci, di poco o molto possiamo negarci.

Siamo ciò che siamo, nell’insieme di quel che abbiamo compiuto, perché se un popolo deve negarsi, il pericolo consiste nella pretesa di chi vuole negarci. Possiamo addirittura annientarci o subire la pretesa dell’annientamento. Resta il fatto che disprezzando ciò che di male abbiamo fatto dobbiamo difendere quel che di bene abbiamo fatto e continuare a resistere, insomma non accettare il principio di essere “cancellati”. Ma vi è un secondo rischio di cancellazione ed è un rischio mortale interno alla civiltà occidentale. Consiste nella negazione che la società occidentale può fare di se stessa, sia dentro una stessa nazione sia tra una nazione e l’altra. È da gran tempo che in quel che scrivo evidenzio la anomalia dei rapporti con la Russia. Per ragioni complesse questa è una civiltà europea ma non è considerata integralmente civiltà europea, e non perché società in fondo non convintamente democratica liberale, il contrasto è antico, precedente.

Si tratta di un paese troppo grande per essere inglobato in un continente. Si tratta di un paese-continente, e questo pone dei problemi specifici. Queste nazioni come gli Stati Uniti, la Cina, l’India, non appartengono ad un continente, ma sono continente. I paesi europei, Germania, Francia specialmente, ma anche l’Inghilterra, che hanno avuto e in parte continuano ad avere tendenze espansive, non accettano, in atteggiamenti difformi, il ruolo europeo della Russia. E Mosca a sua volta non ha mai rinunciato ad un ruolo europeo. Di recente ho scoperto un libello con un discorso che Camillo Benso Conte di Cavour pronunciò nel parlamento piemontese per giustificare l’invio di truppe nella guerra di Crimea, e la giustificazione era di contenere la mira russa di entrare nel terreno mediterraneo. Ma resta il fatto che la Russia c’è, che la cultura russa specie in campo musicale e letterario è insopprimibile, e la religione ortodossa di tratto russo è una risorsa spirituale dell’umanità europea.

A quale civiltà appartengono tali espressioni? Personalmente li considero del tutto europee, sono parte fondamentale della civiltà europea. Sarebbe dissennato ostracizzare questa cultura, costituirebbe una cancellazione che l’Europa fa contro se stessa. Al dunque, e senza prolungamenti discorsivi, se già abbiamo a che fare per difenderci dalla cancellazione che etnie non “occidentali” prospettano, almeno non creiamoci negazioni interne all’occidente. Le faccende geopolitiche, economiche, istituzionali sono rilevantissime ma la cultura e l’arte sono al di sopra. Costituiscono la civiltà. Non possiamo, non dobbiamo escluderle, ci impoveriremmo e ci distruggeremmo. Già abbiamo crisi da ogni lato e rischi inabissanti, non aggiungiamo l’impoverimento culturale, sarebbe la fine. La musica, la letteratura, l’iconografia, l’architettura della Russia sono essenziali al respiro, alla respirazione della civiltà europea, come del resto la nostra civiltà occidentale, in senso proprio, per la Russia.

Continuiamo ad essere civiltà europea. In fondo non ci resta che questo patrimonio, l’arte e la cultura, senza le quali, se ci ostracizziamo, diverremmo società vanificate. Se c’è periodo in cui dobbiamo potenziare, esaltare queste due, è questo, perché rischiamo il deserto tecnologico, che ci annienterebbe tutti, una potenza che lascia alle spalle il niente. E al futuro il nulla Non è umanesimo blasè, dandysmo culturale. È realtà effettuale, verificabile. Un sonetto di Gaspara Stampa regge più di tutta la (im)potenza del (presunto) potere pratico. Una Crocifissione trenta per quaranta di Antonello da Messina ferma la solitudine del martirio per l’eternità. È così, realisticamente. Se non vi è forma non vi è sostanza. Che l’arte e la cultura non arretrino. Vinceranno. Comunque, ciascuno combatta la battaglia che sente.

Don Chisciotte sconfitto nel duello e reso un mezzo morto, se ne torna a casa, dalla preoccupata nipote, e da cavaliere perdente si immalinconisce, lui, il viaggiatore, il cantore di Dulcinea, l’abitatore di castelli, il combattente di giganti, il sovrano di regni. Manteneva un segreto, rispetto al mortale comune, sapeva che privato di fantasia l’uomo assiste al tempo che batte e ribatte ed alla fine giunge alla morte. Se tra la mente ed il tempo non poniamo una barriera, vediamo il tempo nudo, ed il tempo nudo, ripeto, è la morte. Avvilito, Don Chisciotte non ha la forza di sognare, il letto è il letto, la nipote è la nipote, la stanzuccia è la stanzuccia, Lui è Alonso Chisciano non più Don Chisciotte. Ahimè, rinsavisce. La realtà è la realtà. Sancho Panza sempre accanto, che lo aveva martoriato di realtà come è, ora comprende l’errore.

Sta finendo l’avventura onirica, la trasfigurazione, l’ebrezza dei castelli, nobildonne, regni, giganti, congiure, addio, è l’angosciatissimo Sancho che adesso implora Don Chisciotte di “non rinsavire” e tornare a sognare. L’arte è stato il sogno dell’Europa. Questa ci fa sognare e sormonta la realtà nel suo cruento passare del tempo. L’arte si interpone tra lo sguardo e il nulla. L’arte ferma il tempo (“Fermati, attimo, sei bello”). Dobbiamo terzare lo sguardo. Riconquistare l’Umanesimo rinscimentale. L’epoca in cui Don Chisciotte sognava e si innamorava dei propri sogni. L’Europa deve tornare a se stessa. Quando diciamo Europa diciamo arte. Non distruggiamo o permettiamo che sia distrutto il “sogno” europeo. L’arte. La civiltà estetica.


di Antonio Saccà