Una volta c’erano le sfilate di Valentino e il made in Italy, oggi i Gay Pride e le Italie Arcobaleno. Una volta c’erano l’eleganza e lo stile, oggi ci sommerge il brutto e la volgarità. Una volta, dopo le glorie dei Romani, c’era una sola “V” e quel logo identitario, lanciato negli anni ribelli del ’68, divenne il simbolo del lusso e dell’eleganza italiana. Poi quella “V” è scesa nella rabbia e la società è entrata nel cono d’ombra. Abbiamo smesso di identificarci con l’arte, la cultura, la moda ed è iniziato il grande declino. Potremmo datarne l’inizio proprio nel 2007 quando Valentino Garavani, il più grande stilista del mondo, una firma, un brand e un robusto pezzo di Pil, decise di ritirarsi dalle scene. Disse laconico, osservando le tempeste dal suo studio nella mitica sede di piazza Mignanelli: “È il momento perfetto per dire addio”. Oggi la Maison è nelle mani del direttore creativo Pierpaolo Piccioli e del Ceo Jacopo Venturini, ma ai fasti stilistici e ai successi industriali è arrivata grazie al duo Valentino Garavani-Giancarlo Giammetti, storico amministratore delegato sempre al fianco finanziario del creatore degli abiti più belli per le donne più importanti.

 Il grande couturier era stato in Cina, in Russia, in India, aveva intuito lo tsunami della globalizzazione e per lui, che al pari di artisti-artigiani come Michelangelo, Raffaello e Tiziano lavorare coi tessuti era impastare colori e fare con le mani, fu chiaro lo stravolgimento dei grandi mercati. Le sue sete non potevano che essere i lucenti e scivolosi tessuti di Como, che dall’opera di piantumazione del 1400 dei gelsi (mori) di Ludovico il Moro avevano dato avvio allo splendore dell’industria serica. Quelle sete nelle mani di Valentino diventavano i drappeggi delle statue romane sui corpi delle donne più celebri: dall’abito da sposa di Jacqueline Bouvier Onassis, agli abiti per Audrey Hepburn, Sophia Loren, Gwyneth Paltrow, Anne Hathaway, Madonna, Farah Diba, Marella Agnelli, ai milioni di donne che hanno sognato almeno una volta di indossare una sua creazione. Così, dopo aver dato il proprio nome a una gradazione di rosso (“non è né carminio, né porpora né rosso fuoco, ma un pigmento precisissimo depositato con tanto di marchio”), il noto Rosso Valentino (“perché una donna di rosso diventa regale e piena di energia”), il re delle sfilate si era ritirato dalle scene.

Il testimone creativo era passato prima ad Alessandra Facchinetti e poi all’attuale Pierpaolo Piccioli. Però l’ideatore-padre non si è potuto sottrarre all’impegno di un ritorno eccezionale per stimolare giovani, i creativi e le istituzioni a difendere Roma e il decoro.

L’8 luglio prossimo Valentino Garavani, nato a Voghera l’11 maggio 1932, per i suoi 90 anni tornerà con una sfilata epocale ad illuminare la Scalinata di Trinità dei Monti con abiti indossati dalle celebri top model per un parterre d’eccezione. È la sfilata dell’Ultimo Imperatore, come è stato definito in un recente film-documentario realizzato negli Usa, che alzerà lo scudo dell’ingegno e la spada del genio della Roma Spqr contro la Roma del degrado, dei cinghiali, della crisi, dell’immigrazione selvaggia, delle attività chiuse dopo i lockdown, la sfida della Città Eterna nella guerra dei tempi.

Sicuramente Valentino Garavani saprà fare anche di questo lato un’ispirazione e un segno, coniugando la bellezza con la contemporaneità. Infatti la serata è stata intitolata “The beginning”, l’inizio, e vuole essere il punto di partenza per una serie di iniziative creative durante il mese e durante tutto l’anno. “Ringrazio la Maison Valentino”, ha commentato il sindaco della Capitale Roberto Gualtieri, “per il suo ritorno con una sfilata che si annuncia essere unica. “Abbiamo fortemente voluto questo grande evento”, ha aggiunto Alessandro Onorato, assessore ai Grandi Eventi, Sport, Turismo e Moda di Roma, “e siamo molto orgogliosi di ospitarlo nel centro della Capitale”. “Roma con le sue meraviglie e con i suoi molteplici strati e sfaccettature è una fonte di costante d’ispirazione, è una metropoli che accoglie e fa convivere diverse culture in nome di un luminoso ed evoluto sincretismo. È una città di libertà e tolleranza”, ha rilanciato in una nota la Maison.

L’8 luglio alla sfilata da piazza Mignanelli alla Scalinata sono invitati anche 15 allievi e 2 docenti di 5 scuole di moda di Roma. Poi ci sarà un grande ricevimento alle Terme di Caracalla, di cui la Casa sosterrà i restauri dei mosaici. Quindi le iniziative e la formazione comprenderanno la straordinaria apertura degli archivi storici della Valentino con l’esposizione delle creazioni dal 1950 al 1973: 40 persone all’ora con visita guidata per scoprire abiti visti poche volte. Ma “il ritorno” vuol essere anche un momento di riflessione, in cui “Valentino il grande” in un’intervista pubblica a due voci col Ceo Jacopo Venturini farà la storia e il punto sull’evoluzione creativa e sul ruolo dell’industria del lusso nei nuovi flutti internazionali. Si chiude un’epoca, il mondo ribolle, Garavani vuole indicare la via a quanti dovranno portare avanti le effigie romane e del made in Italy. In questo senso la sua storia diventa emblematica.

Erano gli inizi del 1940 quando il giovanissimo Valentino Clemente Ludovico riuscì a convincere la famiglia a frequentare l’Istituto Figurismo e Moda di Santa Marta di Milano: “La mia fortuna è stata riuscire a fare ciò per cui ero portato e a superare ogni sbarramento imponendo l’abilità. E così la famiglia mi ha sempre lasciato libero”, ha raccontato. Seguendo la vena creativa, riuscì a trasferirsi a Parigi per studiare moda alla Chambre syndacal de la Haute Couture parisienne e all’Ecole des Beaux Arts e poi muovere i primi passi negli atelier di Balenciaga e Guy La Roche. Il salto avvenne quando, nel 1959, aprì il primo punto vendita in via Condotti, sostenuto dal padre e alcuni soci che però si ritirarono di fronte alle difficoltà economiche. A salvarlo dalla bancarotta intervenne il giovane studente di architettura, che sarebbe poi diventato il socio e compagno di tutta la vita, Giancarlo Giammetti. Oggi il marchio è distribuito in 100 Paesi, 1.500 punti vendita, di cui 175 boutique monomarca.

Alla base sempre la capacità di capire e cogliere l’opportunità: “Nel 1962 con Giammetti decidemmo di presentarci alle sfilate di Palazzo Pitti”, ha spiegato. “E qui avvenne l’incontro col padre della moda italiana, il marchese Giovan Battisti Giorgini, il quale ci offrì l’ultimo posto disponibile nell’ultimo giorno e nell’ultima ora, prendere o lasciare”. Fu la prova di umiltà e grandezza: “Non ci pensammo, accettammo e la sfilata fu un tale successo che passammo la notte a prendere gli ordini”. Per la prima volta Vogue Francia dedicò la copertina a un designer italiano. Era nata una stella.

I titoli collezionati da Valentino sono il nostro lustro. Nel 1985 il Presidente della Repubblica Sandro Pertini lo ha nominato Grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica, qualche anno dopo il presidente Francesco Cossiga lo ha fatto Cavaliere di Gran Croce, nel 1967 in America ha ricevuto l’Oscar della Moda, nel 2005 la Legione d’Onore francese, nel 1971 Handy Warhol gli ha dedicato il suo iconico ritratto. Nel 2018 è stato premiato come “Uomo della Moda e della Pace” per l’abito lanciato contro la Guerra del Golfo con la scritta “Pace” in 14 lingue. E’ diventato la star dello stile e l’Italia con lui ha solcato l’economia mondiale. Il marchio “V” è stato venduto nel 1998 per circa 500 miliardi di lire alla casa tedesca Hdp, poi rilevato nel 2002 per 240 milioni di euro dal Gruppo Marzotto, fino alla grande cessione, il 12 luglio 2012, alla società Mayhoola for Investments del Qatar per la cifra record di circa 700 milioni di euro per un fatturato stimato in 1,164 milioni di euro.

Alta moda, pret-à-porter e linea giovane con Oliver (nome e musetto marchio di uno degli inseparabili carlini), poi la linea accessori con le inconfondibili borse e occhiali. Le first lady arabe impazziscono per Valentino, che si guadagna la fama di “sceicco della moda”. Al tempo stesso è conteso anche dalle star del cinema, da Julia Roberts a Maryl Streep e Lady Gaga. “Creare un abito è vestire la femminilità”, ha spiegato. Con la moda è riuscito a mostrare il femminile collocandosi tra i maestri dell’arte. Quando per i 45 anni di carriera, nel 2007, allestì l’indimenticabile Mostra di 300 abiti all’Ara Pacis volle eliminare le modelle per sostituirle coi manichini, dimostrando che in quella cornice storica gli abiti prendevano vita aleggiando come reminiscenze. E per individuare il punto in cui nasce la donna è capace di stare anche ore in piedi per un drappeggio o in ginocchio per un orlo a cercare il distinguo di genere. In questo senso Valentino, nato libero e fuori dagli schemi, non potrà definirsi il testimonial del gender, piuttosto “il maestro della bellezza e l’umano”.

Coi segni ha sottolineato le epoche: i grandi fiocchi dei magici anni Ottanta, le linee trapezoidali del Sessantotto, ma non mai ha confuso la femminilità: “Ciò che è donna è solo della donna”. “I love beauty” è il suo epitaffio e quando nell’Ade cavalcherà la memoria di lui si dirà “ha sempre amato solo la bellezza”.

Aggiornato il 02 luglio 2022 alle ore 12:13