“Sì, Chef!”, la vita a tavola

La massima aspirazione di uno chef? “Vedere le Stelle”! Nel senso di quelle riportate nella Guida Michelin, per intenderci, e alle quali fa allusione il film Sì Chef! La brigade (in uscita nelle sale italiane dal 7 dicembre) del regista francese Louis-Julien Petit con Audrey Lamy (Cathy), François Cluzet (Lorenzo), Chantal Neuwirth (Sabine), Fatou Kaba (Fatou), Yannick Kalombo (GusGus). Poiché la vita è più che altro un ascensore, capita che salga e scenda in base agli umori e a un poco di fortuna dei singoli passeggeri. Così, almeno, funziona la vita di Cathy, allevata in un foyer francese per bambini abbandonati e divenuta cuoca per passione grazie all’amore surrogato di un’istitutrice.

Non ha un uomo, né figli Cathy, ma solo la sua grande passione che la porta ad amare il suo lavoro a tempo pieno, accettando perfino di restare disoccupata perché il suo maître, una donna più giovane di lei, pretendeva che il piatto preferito preparato da Cathy utilizzasse spezie diverse da quelle scelte dalla sua creatrice. Facile litigare, difficile rimettere in piedi un buon lavoro quando per quella lite si sono bruciate referenze di rango, perché le signore sanno essere ben più vendicative dei loro omologhi al maschile. Quindi, capita di conseguenza che l’unica offerta di lavoro, del tipo “prendere-o-lasciare” sia quanto di meno suggestivo e gradito, trattandosi della responsabile di cucina della mensa interna a una casa di accoglienza temporanea per richiedenti asilo non accompagnati.

Chi conosce il sistema dell’accoglienza, sa che il problema con i migranti illegali che non abbiano raggiunto la maggiore età (diciotto anni, per la precisione) è proprio l’accertamento della loro condizione adolescenziale. Perché, va da se, i più grandicelli spesso e volentieri si tolgono gli anni, pur di non essere rimandati indietro. E sarà proprio questo il fulcro del ragionamento e l’obiettivo del film: segnalare il problema al grande pubblico. Perché, come accade nella storia, Cathy non solo si appassiona ai giovanissimi e al loro destino, ma ne condivide la pena, ne raccoglie le confidenze sulle famiglie lontane, sugli usi e costumi di civiltà e culture altre, soprattutto per quanto riguarda le tradizioni alimentari e la preparazione dei cibi.

E la cucina diventa così uno spazio speciale, una palestra di vita e di disciplina, con Cathy che si finge sergente di ferro, formando con grande leggerezza e infinito divertimento la sua “brigade” di aspiranti giovani cuochi, ognuno con il suo ruolo in sala e tra i fornelli. Così, passando dai grandi scatoloni di latta contenenti chili di ravioli precotti e salsa da sugo, ai prodotti del campo (dovendo rispettare il budget giornaliero di otto euro per ogni richiedente asilo), Cathy lascia che i suoi apprendisti affondino le mani nella nuda terra, aiutandosi con l’ausilio di vanghe, per estrarre a “kilometro zero” patate e radici. Cathy trasmette passione, mentre Lorenzo, il responsabile amministrativo e direttore del foyer, deve fare in modo di non perdere i suoi ragazzi e di accompagnarli con successo al termine delle procedure burocratiche, cercando di convincerne altri come loro che vagabondano per la città ad accettare un percorso legale di ospitalità.

La presenza di Cathy, assistita da una meravigliosa e rotondetta assistente alla formazione linguistica, Sabine, genera automaticamente un percorso virtuoso che consiste nella formazione di una classe autorizzata di apprendisti cuochi, ai quali il circuito della ristorazione e recettivo-alberghiero francese offre ampie possibilità e spazi di integrazione. Per arrivare a tanto, però, come in tutti i Calvari, occorrerà inventarsi la vita e portare a turno la croce, per trovare la somma minima necessaria ad aprire un piccolo atelier di degustazione. Niente di meglio, allora, che partecipare a un programma competitivo di cucina per cercare di vincere il primo premio e, soprattutto, di creare una vetrina mediatica a livello nazionale per sensibilizzare indirettamente il grande pubblico al problema dell’accoglienza dei minori non accompagnati, dando risalto alla loro creatività, alla voglia di farcela e al loro entusiasmo partecipativo. L’idea geniale consiste nella “sparizione” della numero uno, per lasciare il posto ai numeri “n” tutti colorati e con i sorrisi disarmanti che sbarcano tra di noi come tanti Re Magi della tradizione natalizia.

Aggiornato il 02 dicembre 2022 alle ore 10:13