Il tempo di un “Risotto” per una singolare e saporita analisi della società nata dal movimento che ha segnato la cultura contemporanea: il Sessantotto.

A distanza di mezzo secolo Amedeo Fago, sceneggiatore, regista, scenografo, ripropone il suo più celebre successo teatrale, rappresentato in Francia, Paesi Bassi, Spagna, Germania, Brasile e Russia: Risotto. The show. Va in scena il 3, 4, 5 febbraio al Teatro di Villa Lazzaroni a Roma, con Amedeo Fago e Fabrizio Beggiato, e si propone come performance culinaria della memoria. La pièce narra le tappe di un’amicizia nata sui banchi del liceo, che dura da più di cinquant’anni. Tra passato remoto e prossimo si discorre di barbieri e di dentisti, di matrimoni e di separazioni, di politica e di sedute dallo psicoanalista: cronache minime di fatti e di ideologie. La particolarità è che, intanto, sui fuochi bolle un buon risotto, che diventa il simbolo di un rapporto di identificazione. Analisi e ricordi si mescolano all’arte del piatto, che a ogni rappresentazione si aggiorna di ingredienti diversi. Tutto davanti alla platea, così che alla fine è “il risotto” ciò che resta e che scavalca anni, mode ed eventi. Un gustoso risotto, offerto al pubblico invitato a gustarlo.

L’idea originale è di Amedeo Fago, il quale ha alle spalle una carriera poliedrica: laureatosi in architettura all’Università di Roma, inizia come scenografo con registi di spicco: da Elio Petri a Marco Bellocchio a Carlo Lizzani a Emidio Greco. Nel 1973 è ideatore e fondatore del Politecnico di Roma, che presiede e dirige battendosi per il cinema indipendente. Nel ‘78 inizia la sua attività di drammaturgo, scrive e allestisce Auto-ritrattazione e a breve distanza Risotto, che rappresentano la trama intensa della rivisitazione degli anni della contestazione. “Nell’aprile 1968 avevo lasciato crescere la mia barba. Una barba folta e fluente che, insieme ai capelli lunghi, mi dava quell’aspetto ‘sessantottino’ che immediatamente veniva associato all’idea di contestatore, di ribelle, di provocatore. Negli anni successivi al Sessantotto, come molti della mia generazione, vissi momenti di crisi profonda, e cominciai a cercare, nei meandri dell’inconscio, le ragioni di quel malessere che in molti prendeva la strada della follia, la follia della rassegnazione e della non rassegnazione”. Ma il 1968, per molti movimento fertile e innovatore e per altri conformismo destabilizzatore, morì con il ‘68, per dirla con le parole dello psicanalista Massimo Fagioli: “La rivoluzione culturale non aveva fatto un bambino.  I giovani non erano riusciti a sognare. Addormentati nello stato di veglia scambiarono la realtà per un sogno e, non riuscendo a dormire davvero per aver abbandonato la realtà, scambiarono i sogni con la realtà. Dormienti ebbero paura della realtà esistente e l’aggredirono senza rifiutarla veramente, insonni, ebbero paura dei sogni e li negarono senza comprenderli”.

“Ho fatto questa citazione – spiega l’autore Amedeo Fago – perché queste poche parole esprimono compiutamente lo stato d’animo che, dieci anni dopo il ‘68, mi spinse a quel gesto teatrale di Auto-ritrattazione durante il quale mi tagliai la barba, dopo aver sfogliato le agende di dieci anni, raccontato sogni e costruito castelli con carte da gioco. Fu, evidentemente, un’unica rappresentazione che, insieme alla presa di coscienza di un fallimento, esprimeva la possibilità di una nascita umana come separazione da una realtà passata”.

“Risotto” è uno spettacolo teatrale che nasce e muore nell’arco di una sera, è tempo reale, è un pezzo di vita trascorso insieme dal pubblico e dagli attori. In questo senso, il teatro più che il cinema, assomiglia al sogno: “Da un’altra parte, nell’apparente minimalismo della storia, viene proposta la possibilità del rifiuto come strumento di cambiamento e di separazione dal passato. Il rifiuto nei confronti di un rapporto di identificazione, veicolato attraverso il cibo, e ossessivamente ripetitivo, libera i due protagonisti e restituisce al risotto la sua realtà e la sua dignità di pietanza squisita”.

Grande curiosità per questa riproposizione, per scendere insieme in quegli interstizi di coscienza collettiva in cui si è annidato un movimento di contestazione che, a ragione o torto, ha influenzato lo sviluppo culturale degli anni a seguire e che ancora oggi interroga le personalità e lascia intravvedere nella società frantumata la sua scia di rivoluzione. Ma il finale e l’offerta che propone Amedeo Fago, la sua intuizione, sono probabilmente la lezione più adeguata. Il “risotto”, che richiede arte, pazienza, gusto, senza tempo ed ideologia, è la via giusta che unisce e supera.

Aggiornato il 03 febbraio 2023 alle ore 18:43