La "lotta di classe" di Margaret Thatcher

venerdì 15 febbraio 2013


Un modo per guardare la nostra realtà consiste nel rilevare come una parte del Paese si trovi a tirare la carretta, mentre il resto vive in larga misura grazie a logiche di carattere parassitario. La questione fu un tema cruciale della riflessione di Gianfranco Miglio (che ebbi la fortuna di avere come maestro), ma essa è fondamentale anche in larga parte della tradizione del liberalismo classico.

Come ha più volte evidenziato il mio amico Ralph Raico (ma anche Nicola Iannello), ben prima di Karl Marx il tema della lotta di classe fu decisivo per molti autori liberali, da Jean-Baptiste Say a Frédéric Bastiat. Ai loro occhi lo Stato era un meccanismo infernale che permetteva a taluni di sottrarre legalmente una grande quantità di risorse al resto della società. Per quanti credono nella libertà, nel diritto e nella proprietà, schierarsi a difesa di coloro che producono e che soccombono di fronte al potere dello Stato è semplicemente un dovere morale.

Qualcuno, nella storia recente, è riuscito – certo in modo imperfetto – a interpretare il ruolo di campione delle categorie produttive. Penso in particolare a Margaret Thatcher, che oltre trent’anni fa prese per mano un’Inghilterra in ginocchio, piegata da decenni di statalismo e assistenzialismo, e seppe rianimarla.

In questo come in altri casi, non è facile esprimere un giudizio a tutto tondo: interamente positivo o interamente negativo. Per giunta, l’opinione sulle sue scelte in materia economica non deve necessariamente coincidere con quello sulla sua politica estera. Ma è pur vero che uno dei grandi meriti di “Maggie” è stato quello di aver interpretato interessi e umori di quella parte di società britannica che tirava la carretta e non aveva più voglia di mantenere un esercito di profittatori.

Quando ha messo nel mirino il settore pubblico e i suoi privilegi, la Thatcher ha voluto dare fiducia ai piccoli imprenditori, agli artigiani, ai commercianti, ai liberi professionisti, nella persuasione che solo difendendo quanti producono ricchezza operando sul mercato sia possibile garantire un futuro al Paese. La sua visione politica ha avuto dunque il grande merito di mettere in discussione il parassitismo organizzato e protetto (spesso senza alcuna giustificazione) da un sindacalismo distributore di prebende e privilegi. Quel tipo di sindacalismo era fortissimo nel Regno Uniti degli anni Sessanta e Settanta (forse l’eredità permanente degli anni della Thatcher al potere sta nella sua distruzione) ed è una componente della crisi continentale e nostrana di oggi. Grazie alla Thatcher, il ceto di chi lavora e intraprende, sfruttato da un esercito di burocrati di ogni genere, ha reagito con forza contro tutto ciò: e per una lunga stagione ha avuto la meglio.

La svolta segnata dall’arrivo a Downing Street della Lady di Ferro è stata importante per il mondo intero. Mentre tradizionalmente il partito conservatore era stato tutt’altro che favorevole a mercato e concorrenza, con la Thatcher ha per un po’ cambiato pelle: e questo nonostante sia sempre rimasta un’ala ben ostile alle sue tesi. Grazie a lei, ad ogni modo, lo spirito imprenditoriale è tornato sulla scena a reclamare i propri diritti, trovando nell’ondata delle privatizzazioni lo slancio di una rinascita economica che ha creato opportunità per tutti, compresi molti poveri inglesi e immigrati indiani o pakistani.

Dopo che per decenni – basti pensare al piano di Lord Beveridge e alla teoria economica di John Maynard Keynes – l’Inghilterra aveva imposto nel dibattito politico le logiche di un interventismo invasivo e costoso, Londra è tornata a essere un faro importante per quanti nel mondo si battevano per proteggere la società da un potere sempre più tentacolare. Il “contagio” è stato assai positivo specie a partire dal crollo del comunismo. Quando i Paesi dell’Europa dell’Est riuscivano finalmente ad allontanarsi il più possibile dalla burocrazia di Stato e dal socialismo erano l’America di Reagan e il thatcherismo ad essere i fari ideologici delle giovani democrazie.

In un fase come quella attuale, che vede tutte le economie occidentali in grave crisi a causa di uno statalismo che sta erodendo le basi stesse della nostra prosperità, il coraggio con cui la signora Thatcher ha saputo sposare le ragioni del “privato” contro i privilegi del “pubblico” deve essere un esempio per tutti.

Lo Stato – diceva Bastiat – è la grande finzione secondo la quale tutti cercano di vivere alle spalle di tutti. L’autentica lotta di classe thatcheriana per affrancare le vittime dello statalismo e delle burocrazie illuminate ha rappresentato uno dei capitoli più gloriosi della riscossa contro lo Stato. È quella la strada che anche noi – oggi – siamo chiamati a percorrere.

* Marco Bassani è candidato indipendente alle regionali della Lombardia nella lista di "Fare per fermare il declino"

 

 


di Marco Bassani