Commercio estero, intervista a Dardanello

Le prime Camere di Commercio appaiono, nel territorio che poi si sarebbe istituzionalmente chiamato Italia, nel XVIII secolo. Dopo l’Unità d’Italia si dotarono di un organismo che le organizzasse e le rappresentasse a livello nazionale, che da allora ha fatto tanta strada, come tanta strada hanno fatto le Camere di Commercio e le aziende ad esse aderenti. Oggi Unioncamere ha al suo interno la rappresentanza di tutte le camere, sia in Italia che, tramite Assocamerestero, di quelle italiane all’estero. È per questo che riteniamo di grande interesse ospitare il parere del presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello (nella foto), che ci può dare un focus unico e interessantissimo sul mondo dell’imprenditoria italiana in generale e in particolare con riferimento agli Stati Uniti.

Presidente, come sta l’Italia secondo Unioncamere e le tantissime aziende che a voi fanno riferimento?

Il nostro Paese non vive certo oggi uno dei suoi momenti migliori. Soffriamo gli effetti di una crisi che viene da lontano e che ci ha investito con grande violenza, colpendo famiglie e imprese. I dati sulla disoccupazione ancora crescente nell’ultimo periodo credo siano un indicatore chiaro di questa grande difficoltà, che sta purtroppo colpendo i più deboli, quindi le famiglie a basso reddito, i nostri giovani, che fanno fatica a costruire il proprio futuro, le imprese di piccole dimensioni fortemente dipendenti dai consumi interni che non mostrano ancora di poter risalire la china. Cogliamo, comunque, i primi segnali di ripresa che vengono soprattutto dall’unico indicatore economico rimasto quasi sempre in positivo anche in questi anni di crisi. Mi riferisco all’export manifatturiero, che nell’ultimo trimestre del 2013 ha progredito la sua ascesa, toccando il +4,3%, grazie anche a un buon recupero di quell’artigianato di qualità (tanto penalizzato dalla congiuntura) che sembra sia invertendo la rotta. Il problema restano i consumi delle famiglie che, o per oggettive difficoltà, oppure per il clima di sfiducia che si respira, non progrediscono. E questo ovviamente innesca un circolo vizioso: bassi consumi significano scarsi acquisti e scarso fatturato per le imprese italiane.

Un vostro recente rapporto ci dice che statisticamente un’impresa su quattro è a guida femminile. È tanto o è poco?

Se guardiamo al passato, ci rendiamo conto che nella grande maggioranza dei casi di imprese familiari, la donna aveva un ruolo fondamentale, magari non riconosciuto con cariche specifiche all’interno dell’impresa, ma al fianco del marito o del compagno. Quello che invece stiamo verificando in questi anni, grazie al nostro Osservatorio dell’imprenditoria femminile e all’azione dei comitati presenti in tutte le Camere di commercio, è un modo nuovo, decisamente più moderno di fare impresa al femminile. Nella stragrande maggioranza, queste imprenditrici sono motivate da un desiderio di affermazione professionale, di realizzazione di un proprio sogno, da una passione forte e vibrante. L’impresa dà loro delle risposte che potremmo dire “di senso”, prima ancora che di profitto. Sono donne libere, che certo hanno bisogno – come tutti – di lavorare, ma che vogliono soprattutto mettersi in gioco, sperimentare le proprie capacità, dar senso agli studi e alle competenze compiute. Letto con questo vissuto il dato relativo alle imprese femminili a mio giudizio assume diventa significativo. Anche perché – l’esistenza stessa di una politica delle pari opportunità ce lo testimonia – l’Italia non è ancora compiutamente “un paese per donne”, nel quale alle donne siano date pienamente le stesse chances offerte agli uomini.

Parte fondamentale del network delle Camere di Commercio è Assocamerestero, del quale fanno parte anche le camere di Commercio Italiane negli Usa. Come si comportano le nostre Camere in America, e cose servirebbe loro per poter fare ancora di più?

Le rete delle Camere di Commercio italiane all’estero ha acquisito negli anni autorevolezza e valore, e rappresenta una risorsa fondamentale nelle mani sia degli imprenditori italiani che intendono internazionalizzare le proprie attività, sia di quei soggetti esteri che intendono entrare nel mercato italiano. Inserite nei contesti e nelle dinamiche dei 55 Paesi in cui operano, parte integrante delle locali business community, le CCIE sono in grado di indirizzare le attività degli operatori verso quei settori che risultano essere più attrattivi, fornendo assistenza su normative, finanziamenti, agevolazioni, sostenendo e promuovendo le attività delle aziende più competitive. Le Camere italiane all’estero erogano servizi ad alto valore aggiunto come ad esempio quelli che aiutano a potenziare i canali di distribuzione dei propri prodotti individuando partner esteri affidabili, e individuando le forme di investimento in loco per diversificare la propria produzione. Le cinque Camere degli Stati Uniti, che operano nelle aree di Chicago, New York, Houston, Miami e Los Angeles e associano più di mille aziende italiane, statunitensi ed estere, svolgono un lavoro costante per rafforzare il radicamento sul territorio, investendo la maggior parte delle risorse a disposizione in iniziative promozionali per favorire il business italiano, promuovendo le eccellenze e le tipicità del made in Italy sia nei settori tradizionali quali l’agroalimentare, la meccanica, la nautica, il turismo e il design, che in quelli più innovativi come green technology, aerospazio e Ict, attraverso un gran numero di iniziative organizzate secondo differenti modalità (missioni imprenditoriali, incontri BtoB, partecipazione a manifestazioni fieristiche, ricerca partner, seminari, esposizioni, eventi di networking, ecc.). La rete delle Camere italiane all’estero, che sono parte integrante del sistema camerale italiano, è pronta per giocare un ruolo importante nella definizione delle politiche di promozione collaborando, insieme con gli altri soggetti del Sistema Italia, ad arricchire lo sguardo sui diversi Paesi esteri.

Il tessuto connettivo imprenditoriale italiano è composto dalle tantissime piccole e medie imprese, che producono quasi il 95% del Pil del Paese. È l’opposto di ciò che accade negli Usa, dove sono molte le grandi e grandissime aziende. Sono gli opposti che si attraggono o questo rende più difficile incontrarsi e fare affari?

Sicuramente i due modelli imprenditoriali si adattano alla perfezione ai rispettivi contesti nazionali e, anche se rispondono in maniera diversa agli stimoli che arrivano dal mercato internazionale, sono perfettamente in grado di interagire tra di loro. Il modello delle Pmi, a differenza di quello delle grandi imprese, assicura un’organizzazione snella e veloce in grado di rispondere nel breve termine al mutare delle condizioni internazionali. Le grandi aziende invece rappresentano un mondo completo e integrato, che racchiude al proprio interno specializzazioni e reparti che assicurano all’impresa solidità e indipendenza. Inoltre, la piccola e media azienda in Italia è radicata nel territorio e ne esalta tipicità ed eccellenze; la grande azienda si caratterizza per una visione globale più attenta ai bisogni del consumatore internazionale. In Italia, stiamo assistendo alla nascita di reti di impresa che possono, in un certo modo, colmare quel deficit organizzativo che spesso impedisce alle piccole realtà di trasformarsi in grandi player globali. Oggi i contratti di rete sfiorano le 1.300 unità, coinvolgendo quasi 6.400 imprese. I sistemi imprenditoriali non sono monolitici e l’integrazione e i contatti tra mondi diversi definiranno i nuovi modelli più adatti a competere nel mutevole contesto internazionale. Vorrei sottolineare che, nonostante le differenze sistemiche, Italia e Stati Uniti hanno negli anni sviluppato collaborazioni in quasi tutti gli ambiti industriali favorendo un avvicinamento dei modelli di organizzazione aziendale e delle dinamiche di business. Vorrei anche aggiungere che il nostro sistema imprenditoriale ha un potenziale elevatissimo. Oggi i nostri risultati sui mercati internazionali si devono principalmente alle circa 12mila imprese che stabilmente commerciano con l’estero, punta di diamante di un esercito di imprese esportatrici di circa 214mila unità. Ma altre 70mila imprese hanno le carte in regola per avventurarsi nei mercati esteri. Proprio per supportare tutte le imprese esportatrici ma soprattutto queste che noi chiamiamo “imprese matricole” è nato WorldPass, la rete fisica e virtuale degli Sportelli per l’internazionalizzazione attivati presso le Camere di Commercio.

Realisticamente, cosa possiamo aspettarci dal negoziato Ue/Usa sul Transatlantic Trade and Investment Partnership?

Il negoziato per il Partenariato trans-atlantico per il commercio e gli investimenti rappresenta, sicuramente, una grandissima opportunità di rilancio per l’economia europea e statunitense ed è una risposta concreta al crescente bisogno di riforma del sistema economico globale. Tanto si è discusso, infatti, della necessità di ripensare e riorganizzare i meccanismi che regolano i settori produttivi e il commercio internazionale, e questo percorso intrapreso da Ue e Usa va esattamente in questa direzione. Attraverso un processo che tocca i più importanti temi del commercio internazionale e degli investimenti, le due realtà, che nel complesso rappresentano il 30% del commercio di beni a livello mondiale, proveranno a porre le basi per un processo di ridefinizione delle regole che reggeranno il futuro sistema economico globale. Il Sistema Italia partecipa con fiducia all’evolversi di un percorso che porterebbe indubbi benefici al nostro Paese che, attualmente, punta molto sull’export e sull’internazionalizzazione e che potrebbe essere rafforzato dal ridimensionamento delle barriere tariffarie e soprattutto da quelle non tariffarie che rappresentano un ostacolo importante verso la crescita degli scambi. Riscontri positivi in questo senso non mancheranno, penso in particolare ai classici settori nei quali l’Italia eccelle quali quello dell’agroalimentare e dell’automotive, ma penso anche a quelle start up innovative che si stanno aprendo la strada sui mercati internazionali. L’Ue è un modello unico nel mondo e è la testimonianza che una maggiore integrazione tra i mercati sia la risposta più efficace agli effetti di una delle crisi economiche più dure della storia. Ue e Usa sono realtà molto simili legate da valori comuni e da una stretta collaborazione a tutti i livelli, tuttavia molto si dovrà fare per non rischiare di ridimensionare quella che rappresenta la riforma con i più promettenti livelli di crescita. Le divergenze non mancano soprattutto in tema di proprietà intellettuale e di sicurezza dei prodotti, ma, a mio avviso, ogni sforzo è necessario per non rischiare di perdere quella che rappresenta un’occasione senza precedenti.

Se dovesse citare un territorio che l’ha ultimamente stupita per vitalità e innovazione, tra quelli rappresentati dalle 105 Camere di Commercio italiane, quale menzionerebbe?

Domanda difficile per una persona che come me in questi anni ha avuto la possibilità di attraversare il Paese da nord a sud, da un confine all’altro dell’impero come mi piace dire. In tutte le Camere di Commercio e i territori che ho visitato ho incontrato persone fantastiche e ho vissuto esperienze esaltanti. Mi è capitato ogni volta quindi non mi sento proprio di dare “un premio” all’una o all’altra. Forse, se proprio devo sbilanciarmi, da uomo del nord, vista la mia provenienza da Cuneo, darei una lode a molte realtà del Mezzogiorno, dove si combatte con problemi anche maggiori del resto del Paese eppure spesso si guarda al futuro e si fa innovazione – forse proprio perché ci si confronta con tante complessità – con maggior tenacia.

Problemi del sistema fieristico, infrastrutture, burocrazia… il nostro Paese non è bravissimo ad agevolare chi dall’America volesse investire in Italia o entrare nel nostro mercato. Cosa diciamo agli americani e agli italoamericani che nonostante tutto lo volessero fare?

L’Italia, nonostante le difficoltà che sta vivendo, è un Paese che offre innumerevoli opportunità agli investitori esteri. Grazie alla sua posizione nel cuore del Mediterraneo, ad un mercato interno tra i più importanti d’Europa, ai centri di eccellenza nel campo della ricerca e dell’innovazione, alle eccellenze produttive famose in tutto il mondo, il nostro Paese è una meta intramontabile per gli investimenti esteri. Non dimentichiamo che l’Italia vanta quasi mille prodotti con saldo commerciale attivo anche in questi anni così difficili, in grado di mettere a segno un attivo di 183 miliardi di dollari. La crisi economica ha messo in discussione un sistema dominato da dinamiche non più attuali e competitive, e da qui nasce la richiesta pressante di una riforma profonda del Sistema Paese verso la creazione di nuove fondamenta in grado di sostenere una crescita duratura ed equilibrata. Tuttavia in Italia si continua ad innovare e a valorizzare tradizioni ed eccellenze locali, in una commistione tra passato e futuro che affascina il mondo. Investire in Italia si può e si deve.

L’artigianato e i distretti manifatturieri sono il cuore del made in Italy. Avete di recente siglato un accordo con Google per promuoverli: ci sono contenuti davvero meravigliosi, dei quali andiamo fieri. Ci descrive di cosa si tratta?

L’esperienza avviata con Google lo scorso anno e che proseguirà ancora più intensa in questo 2014 è stata davvero esaltante. Siamo partiti dandoci un obiettivo limitato ma molto concreto: avvicinare 20 distretti del made in Italy al digitale, facendo loro conoscere le straordinarie opportunità della rete. E il risultato è stato strepitoso. Per esempio attraverso la piattaforma www.eccellenzeindigitale.it, nella quale sono in mostra le esperienze maturate nei 20 distretti.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:25