Cambiare governance dell’Eurozona

martedì 25 novembre 2014


In Europa c’è la consapevolezza che un cambiamento è necessario, ma le forze che tendono a conservare l’esistente sono ancora troppo forti. Tutti sanno che crescita e occupazione non riprenderanno mai con le politiche economiche errate adottate sino ad ora. Deflazione e stagnazione europea sono drammatica realtà. Da tempo urge il cambiamento di visione e di politica economica in grado di spingere gli investimenti, e quindi l’economia tutta dell’eurozona. Il danno delle politiche della “dottrina” tedesca del rigore è sotto gli occhi di tutti. Anche quando il tanto annunciato piano Juncker dei 300 miliardi di investimenti in tre anni venisse posto in essere (finora non si è visto neanche quello), si rivelerebbe insufficiente, sia dal punto di vista economico che politico.

Politicamente servirebbe a Junker che, non più credibile dopo le vicende lussemburghesi, potrebbe unicamente aiutare la sua presidenza e la Commissione; economicamente serve a poco, dato che per smuovere l’ economia incancrenita sarebbero necessari tre volte tanto – miliardi – e tre volte tanto anche in termini di tempo, quindi almeno 1000 miliardi di investimenti per almeno una decina d’anni. Si ricordi anche che i programmi Europa 2020 prevedono investimenti in infrastrutture – trasporti, energia, digitalizzazione – per 2000 miliardi entro il 2020 ma che se si prevede e non si fa, sarà inutile avere previsto. Già Juncker non parla più di eurounionbond per non infastidire la Germania che più di una volta ha espresso il proprio veto.

La Germania non vuole cioè, attraverso gli eurounionbond, la mutualizzazione del debito pubblico dei Paesi membri, che vuol dire utilizzare il debito per fare investimenti che si ripaghino nel tempo. Ciò perché, mentre quando è stata aiutata nella ricostruzione in seguito alla riunificazione o quando l’euro è stato “costruito” sul marco tedesco, non ha fatto una piega, adesso che dovrebbe eventualmente dare in cambio qualcosa – comunque dovuto –, dopo avere imposto un dissennato rigore, si guarda bene dal dare agli altri Paesi d’Europa, opponendosi e mettendo in atto una politica mediocre quanto miope. Fa male i calcoli, anche in questo, perchè la questione prima o poi, comunque, riemergerà. Si tenga presente che un altro veto della Germania ha riguardato l’European stability mechanism bloccato, con altra scelta miope, nel servire da fondo ingente e già funzionante dotato di ben 500 miliardi con garanzia degli Stati partecipanti al capitale.

Mario Draghi dalla Bce ha sinora portato praticamente a zero il livello dei tassi a breve – negativi per la liquidità infruttifera delle banche – ha ridotto l’intera curva dei tassi d’interesse, e si sta preparando ad acquistare titoli privati, obbligazioni collegate a securitisation di prestiti alle imprese e covered bonds. Ciò nella speranza che, irrobustite patrimonialmente le banche, le somme messe in campo arrivino all’economia produttiva. E bisogna stare a vedere adesso se si riuscirà con queste modalità a sconfiggere la deflazione. Si sta studiando anche un piano di fattibilità per un acquisto di altre categorie di attività quali quote di Etf, fondi immobiliari, azioni, oro. Con la manovra posta in essere di quantitative easing la Banca centrale europea tenta di alimentare una fase di espansione dei mercati in vista dello sviluppo economico europeo. Si sta cioè cercando di fare ciò che è stato fatto dalla Federal reserve negli Stati Uniti e dalla banca del Giappone.

La domanda, al momento, è se il quantitative easing sia in grado o meno di stimolare l’economia europea? Draghi sta agendo pensando che gli acquisti di titoli agiscano con una trasmissione diretta nei mercati in cui la bce interviene e con un riequilibrio dei portafogli, per cui gli investitori dovrebbero sostituire i titoli meno rischiosi comprati dalla Bce con attività a più lungo termine, quali azioni e immobili. Per le banche un rialzo di queste attività dovrebbe liberare capitale per maggiori impieghi, e le famiglie dovrebbero beneficiare dell’ effetto ricchezza. Mentre si scrive, il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schauble ha chiesto che venga rivista l’intera governance dell’eurozona, testualmente affermando di non volere “dover difendere l’euro per i prossimi cinque o dieci anni con l’attuale governance “ e che “l’Europa deve urgentemente cambiare i Trattati”.

Quelli a cui si riferisce Schauble sono i regolamenti e gli atti che dal 1997 imperversano illegittimamente in Europa, chiamati ed “autoelettisi” impropriamente Trattati. I Trattati hanno sempre parlato di stabilità e di crescita, senza obblighi meno che mai imposti. Se oggi il presidente della Commissione Juncker, con il suo passato da evasore a vantaggio del solo Lussemburgo, rimanda l’Italia a marzo 2015 per la legge di stabilità presentata, imbrogliando, dal governo abusivo di Renzi, vuol dire che il tempo è poco e che si deve cogliere l’insofferenza tedesca espressa nelle parole del suo ministro e dettate dalla crisi economica della Germania stessa, come l’occasione da cogliere al volo per rinegoziare al più presto l’Europa, e l’euro.


di Francesca Romana Fantetti