Una legge di stabilità ad hoc (se non fossimo in Italia)

I fattori che impediscono la crescita dell’economia rimangono.

Notoriamente l’Italia è un’economia in buona misura autosufficiente (il peso dei rapporti con l’estero non è nullo ma certo non è particolarmente rilevante) che soffre però da qualche tempo di un temporaneo significativo sottoutilizzo della capacità produttiva, evidente nei livelli di disoccupazione. Per fortuna, le condizioni della finanza pubblica non destano preoccupazione. E non solo nei flussi. Il livello di capitale pubblico – la dotazione infrastrutturale – è adeguato in tutto il Paese ed il livello e le tendenze del debito pubblico non pongono problemi di sostenibilità.

Se questo fosse il quadro economico italiano, la Legge di stabilità appena varata sarebbe un provvedimento da manuale. Nel senso tecnico del termine: da manuale di Economia 1. Un modesto stimolo alla domanda interna attraverso una riduzione in disavanzo del carico fiscale valutabile, nella migliore delle ipotesi, in 7 o 8 decimi di punto (in non più di 4 decimi nella peggiore), pressoché interamente dedicati alla conferma di riduzioni già in atto (e sarebbe interessante capire cosa lascia supporre che la trasformazione a debito di un provvedimento temporaneo in permanente possa consolidare in qualche senso aspettative positive). Una ricomposizione marginale della spesa (più o meno 1 punto di prodotto) ottenuta spostando risorse da questa a quella voce ma in massima parte all’interno della spesa corrente e della sua dinamica attuale (che, non a caso, porta la spesa pubblica corrente primaria dal 44,6% del prodotto nel 2014 al 44,9% nel 2015). Nessun intervento inteso ad incidere sugli stock (se si esclude una contrazione ulteriore della spesa pubblica in conto capitale fissata all’1,2% del prodotto nel 2015 contro l’1,5% del 2014) ed in particolare sul livello e sulla dinamica del debito. Un compitino pulito, burocratico nella sua linearità, che deve aver impegnato le competenze governative in proporzione agli scarni risultati. È la stessa Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza a quantificare, infatti, in un decimo di punto l’impatto della Legge di stabilità sulla crescita del 2015. Come dire, paghi 7 e prendi 1. Niente male, per una televendita.

Ma… e se le cose stessero diversamente? E se il marziano di Ennio Flaiano, piombato a Roma, non avesse tutti i torti nel descrivere l’economia italiana come un’economia altamente integrata in un’area economica più ampia e a gran parte di essa legata da un accordo di cambio? E se insistesse a ricordarci che nel corso degli ultimi anni oltre 500 mila imprese sono evaporate (e con esse è scomparso il loro capitale fisico imprenditoriale) e che 6 disoccupati su 10 lo sono da più di un anno, il che implica che anche quel capitale umano è ormai andato? In altre parole che una bella fetta del nostro potenziale produttivo se n’è andata per non più ritornare? E se si ostinasse a sottolineare, indelicatamente, che solo tre anni fa il nostro debito ci aveva spinto sull’orlo dell’abisso? E che da allora è solo cresciuto?

Beh, se prendessimo sul serio il nostro marziano allora il nostro compitino pulito – pardon la nostra Legge di stabilità – diventerebbe un esercizio accademico lontano mille miglia dalla realtà. Un gesto inutile ed inutilmente costoso. E forse anche rischioso. Mutatis mutandis, un po’ come “l’inchino” – ormai passato alla storia – del capitano Schettino davanti all’Isola del Giglio (che ex post è difficile non definire una svolta).

Perché se il nostro marziano avesse solo un po’ di ragione, allora sarebbe facile concludere che, nelle condizioni date, buona parte dello stimolo fiscale alla domanda si tradurrà soprattutto in importazioni (e non serve, in questo caso, guardare speranzosi alla Francia: laddove una iniziativa dell’intera eurozona potrebbe forse funzionare, una iniziativa parziale – Francia, Italia e Grecia, i Fig, per fare solo un esempio – finirebbe solo per costarci in termini di spread, ammesso e non concesso che l’Unione possa tollerarla).

E poi, chi lo dice che lo stimolato potrebbe rispondere allo stimolo? Il solito marziano ci ricorderebbe che al centro dell’economia italiana sono oggi collocate due idrovore capaci di assorbire qualunque liquidità si formi nelle tasche delle famiglie e nelle casse delle imprese: le banche ed il fisco. Le prime stanno digerendo lentamente i problemi annidati nei loro bilanci – per lo più a carico delle piccole e medie imprese – e lo faranno ancora per qualche anno visto che nessuno a Roma ha considerato in passato e considera oggi il bancocentrismo come uno dei nostri principali problemi. Il secondo viene da quindici anni in cui si è spacciata per lotta all’evasione una normativa sulla riscossione in più punti incostituzionale. Che ha dato i suoi frutti, non c’è dubbio, ma non verso gli evasori. Risultato: se liquidità c’è va a coprire i piani di rientro bancari e le rateizzazioni Equitalia. E lo farà per i prossimi anni. È mai possibile – nota il nostro marziano – che l’esperienza degli 80 euro e del pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione non abbia insegnato nulla?

Molto altro potrebbe aggiungere il nostro marziano: sulla intangibilità della spesa corrente e sul triste destino della spending review, sulla intoccabilità del patrimonio pubblico, sulla scomparsa del termine liberalizzazioni dai radar della politica economica, sulla incapacità di leggere i limiti strutturali del nostro mercato del credito, sulla indubbia genialità insita nello sforzarsi di dare un lavoro ai giovani svuotando simultaneamente la loro pensione futura. E sarebbe difficile non concludere, con lui, che prima ancora che nei numeri, la povertà di questa Legge di stabilità è nella lettura che si dà dello stato del paese. Nelle idee.

Farà danni, questa Legge di stabilità? Limitati, forse, se Jyrki Katainen farà fino in fondo la sua parte (come c’è vivamente da sperare). Farà del bene? Molto probabilmente no. Ma gli italiani ormai si accontentano di poco, tanto poco da considerare forse anche questa una svolta.

(*) Tratto dall'Istituto Bruno Leoni

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 18:47