Le dimore storiche e il debito (non pagato)

Le dimore storiche hanno una peculiare collocazione, con elementi di distinzione propria, all’interno dei beni culturali. Infatti, rispetto ai beni culturali nella loro integralità hanno caratteristiche che ne individuano un particolare valore. L’aggettivo “storiche” indica una qualità appunto dilatata nel tempo, sovente nei secoli. C’è, quindi, un elemento di antichità, che non sempre è caratteristica di un bene culturale. Soprattutto, però, c’è il sostantivo, “dimore”, sul quale bisogna soffermarsi. Rispetto a un monumento, a un palazzo pubblico, a un edificio sacro, la dimora storica ha un carattere di forte differenza: è un edificio vissuto, se mi si passa la parola, ossia un bene che perpetua la sua funzione attraverso i secoli. La dimora storica non è mutata in museo, perché serba ancora la propria originaria funzione.

È un’abitazione, nata come tale e tale rimasta. Quindi, accanto ai valori schiettamente estetici dell’immobile, ci sono aspetti di continuità storica, di tradizione, permanendo la destinazione per la quale l’immobile era nato. Le dimore storiche evitano che molti edifici si riducano come templi abbandonati. Tuttavia questa salvezza di un patrimonio culturale così tipico richiede mezzi sempre più rilevanti e sempre meno disponibili. Sempre più rilevanti, perché ovviamente il passare del tempo esige nuovi e specialistici interventi, per tacere di tragici eventi eccezionali, quali catastrofi naturali o terremoti. Sempre meno disponibili, perché la proprietà immobiliare è da qualche anno oggetto di assalti bellici, al fine di spogliarla non già dei redditi, bensì del patrimonio stesso, posto che sovente la tassazione colpisce il bene in quanto tale, pur se improduttivo.

Di qui, la situazione sempre peggiore di palazzi, castelli, ville, edifici, in città, nelle campagne, nei grandi centri storici come nei minori paesi di provincia. I proprietari vedono crescere simultaneamente i costi e le imposte. Per di più sono sbeffeggiati, perché il populismo demagogico li dipinge come “i ricchi”, adusi a vivere in comodi castelli o in sontuose ville. Devono essere loro – si blatera – i primi a pagare, e a pagare di più, perché titolari d’immense fortune, ovviamente reputate immeritate e anzi frutto di colpevoli pecche, in applicazione del sempre vivente assioma sulla proprietà vista come un furto, espressione, oggi, non tanto di valutazioni politiche, quanto di mera e diffusissima invidia sociale. Quale la conseguenza? Semplicissima: i mitici castelli, i palazzi nobiliari, le ville sognate, non solo non fruttano i favolosi redditi ipotizzati, come si vorrebbe far credere con faciloneria disarmante, bensì si corrodono nel patrimonio. Infatti viene meno la possibilità di eseguire i lavori, fossero anche solo di manutenzione ordinaria, non si dice di recupero o di restauro o di straordinaria manutenzione.

La scontata ripercussione, che già si appalesa qua e là ma che, ineluttabilmente, vedremo nei prossimi anni (non decenni: basteranno pochi anni, purtroppo), è semplice, comprensibile anche soltanto alla luce del buon senso ma, all’evidenza, ignorata dalla classe politica, senza eccessive differenze di colore e tutta quanta orba, appunto, di buon senso. Ecco la conseguenza: il bene viene abbandonato e destinato, quindi, alla decaden-za. La dimora storica rischia di diventare un rudere, perdendo insieme tutti i valori, culturali, storici, sociali, artistici, che essa ha finora detenuto. Quando, invece, vi siano i mezzi per consentire i lavori necessari, ecco che si genera un positivo indotto economico, sia per le opere edili (sovente per imprese specializzate nel recupero specifico), sia per le prestazioni di professionisti (anche loro spesso preparati nel settore), sia in generale per il miglioramento ambientale complessivo, perfino per l’avvaloramento culturale e i conseguenti richiami turistici.

La vicenda del mancato saldo dei contributi statali è esemplare per indicare la condizione di sfascio – non c’è parola più adatta – cui siamo giunti. Lo Stato deve ai proprietari d’immobili storico-artistici 97 milioni di euro per i lavori di restauro effettuati e liquidati (al 50 per cento dei costi) dalle competenti Sovrintendenze. La somma è stata confermata dal ministero per i Beni culturali. Dunque, lo Stato ha spinto i proprietari d’immobili storico-artistici a compiere lavori, considerati, è palese, necessari e utili alla collettività, non soltanto al singolo. I proprietari si sono sobbarcati i lavori, fidando nel rispetto dell’impegno assunto dello Stato. Invece, nonostante la liquidazione e il riconoscimento del debito da parte degli uffici competenti, i rimborsi non giungono.

 

(*) Presidente di Confedilizia

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:20