Il volume di affari  non è una colpa

Se c’è un’arte nella quale il legislatore è bravissimo, è quella di complicare le cose. È come se da tempo chi scrive le norme avesse dichiarato guerra alla linearità e al buon senso. Prendete il caso del falso in bilancio, a cui già abbiamo dedicato l’editoriale di due settimane fa, e sul quale nel frattempo il governo pare aver messo a fuoco il suo provvedimento. Lo ricordiamo: il falso in bilancio è già oggi un reato, anche dopo la modifica del 2005. Tale fattispecie è però ampiamente modulata e graduata.

L’intenzione ora, come noto, è quella di aggravare la sanzione e allineare le diverse ipotesi a un’unica categoria di delitto, con eliminazione delle soglie di non punibilità. Poiché si possono falsificare i bilanci in maniera più o meno grave, il governo sarebbe intenzionato a proporre l’introduzione di una distinzione della pena sulla base del volume di affari. Tuttavia, collegare l’offensività della condotta al volume d’affari vuol dire disancorare la stessa alle intenzioni e alle volizioni di chi l’ha posta in essere, e al tempo stesso discriminare le imprese sulla base di un indice dimensionale. Falsificare le informazioni contabili richiede, per definizione, l’intenzionalità, il desiderio di mentire. Si possono avere informazioni non veritiere perché false, o perché invece sono sbagliate.

Individuare come differenziazione il volume d’affari e al tempo stesso introdurre la procedibilità d’ufficio rischia invece di non consentir più, nella pratica, la distinzione tra le due ipotesi. Checché ne dicano i mozzorecchi, circoscrivere con sufficiente precisione il reato di falso in bilancio e le sue gradualità è essenziale. Ma sostituire criteri automatici come le soglie con altrettanti criteri automatici e scollegati dall’offensività concreta del reato non sembra la soluzione migliore. In realtà, la soluzione migliore sarebbe quella più semplice e lineare: collegare il reato alla presenza di danneggiati (parte lesa del falso), e quindi evitare di renderlo procedibile d’ufficio. Altrimenti, basterà una mera irregolarità contabile per essere perseguiti, e la gravità della sanzione sarà stabilita non dalla gravità del danno, ma dalle dimensioni della società.

Come abbiamo già scritto, affidare a una decisione d’ufficio, senza alcun filtro, l’avvio delle indagini può comportare un eccesso di discrezionalità per la autorità di polizia tributaria e inquirenti rispetto al quale i cittadini e le imprese faticherebbero a trovare rimedio e tutela. Che alla contestazione del fatto così come descritta consegua la comminazione di una pena sulla base del volume d’affari sembra un motivo in più per diffidare di questa riforma.

 

(*) Editoriale tratto dall'Istituto Bruno Leoni

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:24