Basta scorciatoie:   tagliare lo Stato

La serie di sentenze che negli ultimi mesi hanno dichiarato l’illegittimità di maggiori entrate - Robin Tax - e minori spese - blocco degli stipendi pubblici e tetto alle pensioni - segnala come in passato si sia intervenuti in modo avventato e superficiale sul problema principale dell’Italia: la spesa pubblica. Una spesa che va ridotta non solo e non tanto in omaggio al Fiscal Compact ma, ancor prima, per una questione di responsabilità dello Stato verso i suoi contribuenti, attuali e futuri.

La giurisprudenza costituzionale e il ruolo della Corte non sono mai stati tanto invadenti rispetto alle decisioni di bilancio pubblico. La stessa scelta, in due dei tre casi menzionati, di dichiarare l’incostituzionalità sopravvenuta (come se il carattere di incostituzionalità possa essere una caratteristica recente, maturata col tempo) è politica. Si pone alla stregua di una scelta abrogativa discrezionale. Sembra che sia venuto meno il compito originario della Corte, la funzione di annullare le norme in quanto affette da un vizio originario di illegittimità. Dovremmo però chiederci se questa Corte che si intromette con metodi poco ortodossi e temerari non rappresenti altro che le terga di uno struzzo con la testa sotto la sabbia.

La situazione finanziaria italiana è chiara da tempo. Come ha detto pochi giorni fa la Corte dei conti, il livello di pressione fiscale è intollerabile. Inventare nuove tasse per i “ricchi”, o per le imprese “ricche” come nel caso della Robin Tax, è un modo di pestare l’acqua col mortaio populista. Lo stesso suggerimento della Corte dei conti di differenziare le tariffe per i servizi pubblici a seconda della capacità contributiva è fortemente criticabile, dal momento che contraddice il concetto stesso di tariffa. Più di così, con le clausole di salvaguardia che rischiano seriamente di scattare a breve, non possiamo davvero pagare. D’altro canto, ridurre la spesa pubblica cercando di tagliare i costi necessari per l’adempimento delle funzioni, senza che siano queste ad essere ridotte, rischia di portare a decisioni inique. Scelte arbitrarie e tagli che retrospettivamente mettono in discussione posizioni acquisite. Un invito a ricorrere alla Corte Costituzionale.

Se qualcosa di costruttivo dobbiamo ricavare dalla dichiarazione di incostituzionalità del taglio delle pensioni più alte o del blocco temporaneo della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico è proprio questo. Chi governa può nascondere la testa sotto la sabbia, ma arriva il momento in cui si rende evidente che il problema della spesa pubblica non è il problema di fare economia sulle funzioni correnti, ma di ridurle. È ingiusto quanto si vuole, un passato politico che ha odiosamente creato una situazione di iniquità intergenerazionale. Ma cercare di raddrizzarlo guardando indietro, magari con livore, alle pensioni o ai contratti maturati, è solo un modo di ritardare la presa di consapevolezza che è al futuro che i governi e i contribuenti devono mirare, chiedendosi cosa vogliono che lo Stato faccia e quali funzioni sia possibile dismettere, e con ciò ridurre la spesa pubblica.

 

(*) Editoriale tratto dall’Istituto Bruno Leoni

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:31