Largo ai giovani, privatizzando

Fare spazio ai giovani vuol dire, anche, non occupare tutto. Si veda cosa sta succedendo nella nostra Cassa depositi e prestiti, uno scrigno di tesori di tutti gestito privatamente dai pochi che afferrano e arraffano. Dalla poltrona di presidente Andrea Guerra sostiene Claudio Costamagna, prodiano, ex Goldman Sachs e presidente di Salini Impregilo. Costamagna è stato per anni consigliere di Luxottica, società di cui lo stesso Guerra era amministratore delegato. In pratica si “pesca” in modo da dispensare ulteriori emolumenti a soggetti su cui ne sono già piovuti molti; si sceglie e ci si avvantaggia tra gli “amici degli amici”. Renzi docet. Ma non solo. Fabio Gallia, candidato alla nomina di amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti, è già amministratore di direttore generale di Bnl, country head per l’Italia del gruppo Bnp Paribas, oggi oggetto di inchiesta da parte della Procura di Trani per cui andrebbe modificato lo statuto della Cdp se le regole fossero ancora regole.

Il capo della gestione patrimonio di Bnl chi sarà? La compagna di Claudio Costamagna, Alberica Brivio Sforza, e così via dicendo. Altro che regole, qui vige e impera il familismo amicale. Ci si trova in un girone infernale in cui, contro ogni regola, si nominano e avvantaggiano i vecchi piuttosto che dare la possibilità del lavoro ai giovani, perché diventino grandi, vale a dire adulti. Per diventare grandi è necessario che i giovani abbiano un lavoro, che però è quasi inesistente, aleatorio e provvisorio. I nostri giovani espatriano, rimangono i più modesti che fanno la fila a migliaia per un posto da precario alla Rai, azienda che va chiusa o, nella migliore delle ipotesi, ceduta e venduta a privati tycoon. A causa del sistema deleterio di panstatalizzazione, acuito pure dalla crisi economica, gli italiani hanno costretto i propri ragazzi a rinunciare ai sogni e ad accettare quello che trovano, cioè molto poco.

Si tratta di rastrellare il fondo della pentola e di accontentarsi ad accettare lavori precari, poco qualificati e sostanzialmente sottopagati. Gli italiani hanno reso la eventuale vocazione dei propri figli un vero e proprio lusso e li hanno costretti a cercare, ancora prima che un lavoro attraverso cui realizzarsi, un mero impiego che consenta loro di sopravvivere. Il lavoro oggi, per i giovani italiani, grazie alle porcherie di questa politica dal 2011 di becera sinistra, è un’ossessione, un miraggio. Vedono una società in preda alla disuguaglianza e alla ingiustizia prevalenti, vedono un’inesistente equazione lavoro=soldi perché constatano che gran parte dei dirigenti guadagnano tantissimo senza fare niente per lo più, o facendolo molto male, dunque si è diffuso in loro un forte sentimento di casualità per cui non contano affatto merito e talento, ma caso e fortuna.

Il lavoro ha perso ai loro occhi ogni valore. La società schifosa in cui i vecchi prosperano e dettano legge non togliendosi mai dai piedi, chiede loro l’impossibile e cioè essere autonomi costringendoli però a dipendere dai genitori e dai nonni. Le passività e l’apparente mancanza di aspirazioni dei nostri giovani sono da cogliere come atti d’accusa verso il sistema marcio costruito dagli stessi nonni ed in cui sguazzano lividi di rodimento e miserrima vergogna i genitori. I giovani rimasti in Italia pensano spesso di “realizzarsi” con una sorta di trasmissione dinastica del lavoro/impiego, ovvero facendo l’avvocato il figlio dell’avvocato, l’attore il figlio dell’attore e così via dicendo. Oggi i sessantenni occupano tutto il disponibile o quasi, si veda il caso della Cassa depositi e prestiti, e questo scoraggia qualunque giovane capace del nostro Paese.

Dalla situazione in cui si trovano i nostri giovani si deve comprendere la condizione errata in cui si trova la nostra società, alla quale va fatta prendere la direzione delle opportunità e del mercato, abbandonando al suo cupo destino statalismo e dirigismo. Fare largo ai giovani vuol dire mettere sulla giusta carreggiata il Paese. La direzione è quella della creazione di produzione e lavoro, dell’autonomia ed indipendenza economica, non certo e non più quella disperante del più becero familismo a scopo di occupazione di ciò che è pubblico.

Occorre disincentivare il posto pubblico fisso, renderlo poco appetibile, e dare lavoro costruendo produzione e impresa privata. Convertire il pubblico nel privato. I giovani occuperanno tutto, con le loro energie, mandando a casa i nostri vecchi. Se ne facciano presto una ragione.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:28