A otto anni dalla crisi, l’Europa tedesca pensa agli investimenti

L’Europa impantanata della Merkel, quella del rigore formalistico del fiscal compact auto proclamatosi Trattato che non è, si appresta ad affrontare in ottobre 2015 un investment compact, in ritardo, con calma e senza spingere. Si spera non si tratti solo del ridicolo piano Juncker , quello annunciato da tempo in cui non ci sono soldi ma si “creano” fantasiosamente nella testa dello stesso presidente della Commissione europea Juncker, che è poi il medesimo assurto alle cronache per le truffe fatte, quelle sì con soldi veri, dal suo Lussemburgo e a vantaggio del suo solo Lussemburgo contro e in danno di tutti gli altri Stati europei. I quali, per questo, lo hanno “premiato”.

Si spera cioè che adesso l’Europa della miseria e dello spadroneggiamento della Merkel, questa Europa tedesca, si applichi e ponga in essere investimenti da attuarsi nei ed a favore dei Paesi membri. Solo in Italia il rapporto degli investimenti sul pil dal 2007 ad oggi è sceso passando dal 22 al 15 per cento. E quanto intenda impegnarsi per l’Italia questa Europa lo si può figurativamente trarre dalla recente assenza di chicchessia della Commissione europea ad un incontro tenutosi in Italia, precisamente a Milano, sui fondi sovrani, a cui hanno preso parte fondi sovrani di una trentina di Paesi con asset pari a circa 4500 miliardi di dollari, che corrispondono più o meno a quasi tre volte il Pil italiano. Nessuno della Commissione è stato avvistato o scorto. Affari italiani, che forse è bene rimangano e vengano sfruttati come tali, dato che quegli stessi fondi sovrani detengono da noi una ventina circa di miliardi di capitalizzazione borsistica e che, nel solo 2014, hanno investito miliardi di dollari.

Ora, l’investment compact prevede l’entrata in vigore di un nuovo ente, tanto per cambiare, vale a dire il Fondo europeo per gli investimenti strategici il quale deve trasformare i 21 miliardi di euro di dotazione cui l’Italia ha già contribuito con 8 miliardi versati di corsa e sull’unghia, in almeno 315 miliardi di investimenti, come da previsione del piano Juncker. Chissà, forse ricevuti i nostri quasi 10 miliardi di euro, alla Commissione europea hanno pensato bastasse, e deciso così di ignorare l’incontro italiano dei fondi sovrani. L’Italia tra l’altro ha gioito per la poca flessibilità ottenuta dalla Merkel sul Fiscal compact, sconoscendo che i Trattati europei non parlano né prescrivono affatto rigore dunque flessibilità, da chiedere e tantomeno concedere, ma una “tendenzialità” verso la situazione economica migliore possibile da decidere e perseguire in base a politiche economiche autonome proprie di ciascun Paese membro. Insomma la stessa Italia di Napolitano/Renzi/Padoan che gioisce di essere stata “autorizzata” alla deviazione modestissima e temporanea od al rallentamento verso il pareggio di bilancio, si tiene occupata ora col chiedere un altro aumentino nella flessibilità di bilancio per il 2016 motivandola e soprattutto “giustificandola” con le “riforme” strutturali, per intenderci l’esclusione dei cittadini italiani dall’elezione dei senatori, e gli investimenti pubblici euro cofinanziati. Avrebbero potuto metterci anche la terza “scusa” ammessa, quella del superamento delle fasi cicliche avverse, già che ci si trovava. E l’emergenza immigrazione? Dove la mettiamo? “Cònzala comu voi, sempri cucuzza è”, dice un detto popolare siciliano, vale a dire condiscila come vuoi, ma sempre zucchina rimane. Comunque la si veda cioè, rimane sempre lontana la soglia del 3 per cento. Tanto da fare cioè, per non andare da nessuna parte lo stesso.

Sembra viga in questa Europa una sovranità condivisa in entrata, cioè finché paghiamo e diamo, meno in uscita, nessun investimento valido all’orizzonte. Con il risultato che l’Italia si affanna a dire di stare facendo “riforme” che negano agli italiani diritti basilari e fondamentali di democrazia, si fanno cioè “riforme” propagandandole tali purchessia, ad usum dell’Europa tedesca che ci guarda e giudica, ci fa le pulci, ma in compenso gli investimenti tardano ad arrivare. Dove non sta scritto da nessuna parte che negazione della democrazia possa coincidere con arrivo di soldi dalla Merkel, quanto piuttosto solo ed unicamente il rispetto di ciò che è scritto nei Trattati europei, quelli veri, ha quale corollario o conseguenza il rispetto degli elementi democratici su cui poggia un popolo. Detto in altre parole, Napolitano/Renzi/Padoan barattano, svendendo l’Italia, riforme di soppressione della democrazia agli italiani, con soldi a venire che non si vedono, né si vedranno perché non si fonda uno Stato, né tantomeno l’Europa unita, sulle sabbie mobili e malmostosità generale. Ci vogliono costruzioni sane, in grado di tenere, che poggino su sistemi altrettanto forti e sani, condivisi, che tengano per il consenso che li cementa e tiene uniti. Delle misure di riduzione della fiscalità generale la Commissione parlerà, in futuro, forse.

Per ora il presidente della Commissione Ue Juncker ed i commissari Moscovici e Dombrovskis, e pure la Bundesbank non si sa perché dato che è una banca generale di uno dei tanti Paesi europei, hanno gelato l’eventualità di manovre italiane in deficit. La misura della eliminazione di Imu e Tasi di cui Padoan parla in termini di sola riduzione, Renzi ne proclama l’eliminazione pro voto per sè, mentre Napolitano manco ci pensa dato che le tasse sono affare degli altri, degli italiani, lui esente, rimane un progetto privo di coperture. Al più, con i soliti imbrogli, si taglieranno le tasse sulla prima casa alzando tutte le altre, con l’aumento ulteriore della tassazione a carico degli italiani, come è stato già fatto con gli 80 euro. Con l’effetto annuncio, Renzi cerca consenso nel tentativo di sopravvivere quando, con il voto, gli italiani finalmente sceglieranno quel poco che è rimasto loro ancora per poco da potere scegliere.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 18:45