La Borsa e lo spread dei titoli spazzatura

Giorni fa l’agenzia “Bloomberg” riportava che alcuni fra i più importanti hedge fund, in previsione di una forte correzione delle Borse stavano alleggerendo le proprie posizioni azionarie con riferimento all’S&P500, l’indice del paniere formato dalle 500 aziende statunitensi a maggiore capitalizzazione e che per gli analisti è l’indice di Borsa più significativo. Il suo andamento, infatti, influenza le Borse di tutto il mondo. Il mercato al rialzo è cominciato nel marzo 2009 ed è proseguito senza pause per 80 mesi, una fase ascendente che è durata 30 mesi in più rispetto alla media calcolata dalla Seconda guerra mondiale fino ad oggi. Dal marzo 2009 al dicembre 2014 l’indice è salito di oltre il 200 per cento. Ma a partire da quest’anno è cominciata la decelerazione. Lo scorso agosto, nel giro di pochi giorni, l’S&P subiva un mini-crollo dell’11 per cento ma nei mesi successivi ricuperava la maggior parte delle perdite per poi stazionare. Per definizione un mercato cessa di essere rialzista e diventa ribassista quando scende del 20 per cento e questa fase non è ancora cominciata. Tuttavia la situazione assomiglia sempre più a quella del 2007 e l’inversione di tendenza è solo questione di tempo. Un prossimo collasso del mercato è nell’aria e ci sono almeno tre motivi che lo rendono plausibile.

Il primo è che l’economia mondiale è in drammatica contrazione come dimostra l’andamento del Baltic Dry Index (Bdi) il più importante barometro del commercio mondiale (vedi qui). Il Bdi misura l’andamento dei costi del trasporto marittimo e dei noli delle principali categorie delle navi cargo che trasportano materie prime non liquide e derrate agricole: è dunque un indicatore concreto del livello della domanda e dell’offerta di tali merci. Mai è stato così basso negli ultimi trent’anni, segno di depressione economica che contrasta con la fase rialzista del mercato borsistico. Mai c’è pure stato tanto scollegamento tra economia reale e economia finanziaria.

Il secondo motivo è il forte squilibrio del listino di Borsa. L’S&P è praticamente guidato da un gruppo di dieci società (tra cui Amazon, Microsoft, Apple, Alphabet (Google), Facebook, General Electrict) che compensano i ribassi e le perdite accumulate dall’intero listino. Inoltre quasi tutte le quotazioni sono inflazionate dalla pratica del buyback. Il buyback è un artificio contabile, che consiste nel riacquisto di azioni proprie in circolazione per farne salire la quotazione. Meno azioni in circolazione più elevato il rapporto utili/numero di azioni. Gli utili azionari non aumentano in virtù di nuovi investimenti e vendite ma in quanto si distribuiscono su un numero minore di azioni dando l’illusione che le aziende prosperino. Secondo Bloomberg il 95 per cento dei guadagni delle aziende quotate nell’’S&P 500 sono stati spesi, appunto, nel riacquisto di azioni proprie facendo salire artificialmente i corsi azionari. Il guaio è che gran parte delle società a listino non ha affatto investito i guadagni per ricomprarsi le azioni ma le ha rastrellate addirittura indebitandosi, grazie all’espansione monetaria a tassi nulli delle banche centrali. In altre parole il denaro viene dirottato a società insolventi che, un peggioramento della crisi, potrebbe spazzare via di colpo. Il buyback, che ha così ridicolmente sopravvalutato il mercato azionario (facendo percepire ai manager bonus stellari) non è altro che una truffa a danno dell’inconsapevole massa di piccoli e medi investitori che credono di possedere titoli rappresentativi di aziende che producono ricchezza mentre invece hanno investito in pezzi di carta. Il buyback è ovviamente la filiazione corrotta della madre di tutte le corruzioni: l’espansione monetaria gratuita delle banche centrali. Tutti i valori, ormai, non sono più determinati dal mercato ma dai trucchi resi possibili da queste politiche “accomodanti”, che dal 2008 non hanno fatto altro che incoraggiare prestiti a entità insolventi, manipolare e distorcere sistematicamente tutti i settori di mercato. Nessuno oggi è più in grado di distinguere tra investimenti rischiosi e non rischiosi senza essere specialista di settore. Fino a quanto potrà durare?

Il terzo motivo è lo spread dei junk bond rispetto ai titoli governativi, un indicatore altamente significativo ma non sempre preso in dovuta considerazione. I junk bond o titoli spazzatura sono titoli emessi nel mercato obbligazionario, che è più importante di quello azionario, non solo perché rappresenta il mercato dove l’economia privata si finanzia, ma perché anticipa la direzione di cambiamento del mercato azionario stesso. I junk bond sono titoli con basso merito di credito con rendimento e rischio elevato che vengono chiamati popolarmente titoli spazzatura (ma in molti casi sono meno spazzatura dei titoli risk-free dei Governi), ossia obbligazioni emesse da aziende che hanno difficoltà ad accedere al credito bancario che privilegia solo le grandi società. Lo spread è importante perché rappresenta il premio, ossia la maggiorazione dell’interesse che si deve pagare rispetto a un titolo privo di rischio. Se i titoli governativi rendono il 2 per cento all’anno e i junk bonds il 5 per cento lo “spread” è del 3 per cento. Se il rendimento sale al 7 per cento, lo spread è del 5 per cento. Lo spread è appunto un importante “sentiment indicator” del mercato perché riflette l’opinione e l’umore generalizzato degli investitori nei confronti dell’economia privata. La difficoltà generalizzata a ripagare i debiti si riflette immediatamente sullo spread che se aumenta, allarma immediatamente il mercato.

È proprio l’ampliamento dello spread nel mercato obbligazionario a segnalare le svolte del mercato azionario. Come si nota dal grafico, nel 2007, prima del crollo del mercato, lo spread aumentava. All’epoca, molti investitori, anche professionali, ignorarono il segnale, continuarono a comprare azioni e subirono una batosta. Ora lo spread sta cominciando di nuovo ad aumentare e questo, appunto, non confermerebbe affatto il perdurare della fase ascendente del mercato ma starebbe per annunciare quella discendente. I corsi potrebbero essere soggetti ancora a rialzi ma il trend è al ribasso e potrebbe tramutarsi in crollo. Da tener presente: l’emissione dei junk bond rispetto al 2007 è aumentata addirittura del 130 per cento in quanto gli investitori, in un contesto di interessi a zero e perfino negativi, si sono orientati a correre più rischi pur di avere rendimenti gratificanti. Ma lo spread dei junk bond è come avesse cominciato ad avvertirci: attenzione, non abbiate troppa fiducia nella Borsa. Alcuni, i più saggi, percepito il messaggio, stanno già vendendo a valori soddisfacenti privilegiando, al momento, la liquidità. Dopotutto c’è sempre tempo per ricomprare azioni, soprattutto dopo un calo di un 20/30 e oltre per cento...

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:23