Finanza e realtà: due mondi separati

giovedì 11 febbraio 2016


Nei giorni scorsi su queste colonne avevamo pubblicato una riflessione sul grado di erraticità dei mercati che appaiono ben lontano da quel “miraggio della razionalità” che si voleva rappresentassero. Gli “analisti finanziari” prevedevano il persistente calo del prezzo del petrolio, fino a 20 dollari al barile; lo stallo del prezzo dell’oro, intorno ai 1.000 dollari all’oncia; ed infine la solidità di una moneta come il dollaro alla parità sull’euro. Contrariamente alle loro previsioni si ipotizzava, in chiusura del pezzo, esattamente il contrario cioè l’aumento del prezzo del petrolio (oggi stabilmente sopra i 35 dollari al barile), dell’oro (oggi sopra 1155 dollari all’oncia) ed infine la svalutazione lenta del dollaro che rispetto all’euro è passato da 0,080 a 1,203. Veniva rilevata infine la debolezza di valori troppo legati alla speculazione in una logica di breve tempo con un rapido cambiamento del trend.

I fatti ad oggi confermano quelle apparenti provocatorie previsioni con la formula del “Come volevasi dimostrare”. Anche in questi giorni le borse seguono un loro andamento asimmetrico ai valori reali sottostanti per seguire un gioco che sembra lasciato al caso o come si usa dire al “panic selling” ma non è esattamente così perché l’alta concentrazione della finanza persegue anche scopi che vanno al di là dei mercati e si servono dei mercati. L’irrazionalità degli andamenti è provata dall’andamento dello spread - un burattino manovrabile alla bisogna - che arriva a 145 b.p. in una situazione di crescita interna difficile e con un debito che si attesta vicino ai 2.300 miliardi di euro, era lo stesso spread che avevamo nell’aprile del 2011 quando il debito era di 1.820 miliardi di euro ed il Prodotto interno lordo stava crescendo. La realtà non è mai quella che si vuol far rappresentare ma è molto più complessa perché sono gli uomini che muovono i mercati e lo fanno perseguendo interessi ben precisi. I fatti, come si disvelano da tempo, mostrano una crescente velocità nelle dinamiche dei mercati che sembra accelerarsi sempre più rapidamente in modo anche asimmetrico alla realtà e di conseguenza aumenta la loro imprevedibilità. Il secondo aspetto di evidente criticità è la manifesta incapacità dei modelli matematici, degli algoritmi, infinitamente complessi, nella previsione degli andamenti dei mercati finanziari; le spiegazioni sono sempre ex-post a rincorrersi con le previsioni. L’inadeguatezza del solo approccio culturale, quantitativo e razionale ai mercati finanziari dimostra l’infondatezza delle ipotesi su cui sono stati costruiti e poi legittimati da Premi Nobel più legati agli interessi da supportare che alla scienza vera. I mercati divengono su aspettative e non su conoscenze certe, sembrano prevedere con esattezza gli eventi futuri ma sono le aspettative di questi che servono a manipolare i mercati. I mercati, pertanto, divengono molto diversamente da quanto sarebbe se fossero basati su conoscenze certe.

Da qui bisogna partire per portare avanti una riflessione sulla realtà di una finanza totalmente slegata dalla realtà a cui si contrappone logicamente. Il sistema della moneta e della finanza non essendo più dal 1971, l’anno della fine della convertibilità del dollaro, ha potuto assumere una dimensione sempre più slegata dalla realtà e poi costruire un sistema di aspettative in grado di condizionare le scelte dei mercati in funzione degli interessi dominanti. Il prezzo dell’oro da allora è stato frutto di sistematiche manipolazioni.

Il sistema monetario si è svincolato dalla dimensione reale e dalle quantità fisiche, non essendo più agganciato ad una dimensione del reale misurabile è diventato infinito, immateriale e come tale non misurabile; in questo modo è illogico che un sistema valoriale infinito ed immateriale possa essere usato come misura del sistema finito, materiale e misurabile in cui noi viviamo. L’acquisizione della conoscenza nell’economia reale e nella finanza è completamente diversa; infatti, come dice Kant, la conoscenza dipende dallo spazio e dal tempo che si pongono in modo completamente diverso nei due mondi. Il tempo nell’economia reale è vincolato dai tempi tecnici delle trasformazioni fisiche delle materie prime in semilavorati e/o prodotti finiti e lo spazio è limitato alla dimensione degli impianti e dai condizionamenti ambientali per questo l’economia reale funziona nei tempi lunghi; nella finanza il tempo dipende solo dalla velocità delle transazioni e non ha vincoli che lo possano limitare e lo spazio semplicemente non è una dimensione che incide nelle scelte degli operatori e di conseguenza la finanza ragiona sul breve o brevissimo tempo e tendenzialmente, se non regolata diventa pura speculazione. Peraltro l’infinita finanza si pone in contraddizione con i principi fondamentali dell’economia come scienza che in presenza di risorse scarse si pone l’obiettivo di trovare l’ottimo tra queste ed i bisogni dell’uomo, le risorse sono scarse non infinite.

Inoltre il passaggio culturale vero è quello dal principio di economicità legato al sistema del reddito che disciplina la redazione del bilancio, ed è la base della ragioneria, a quello di liquidità. Come reddito si intende l’incremento del capitale per effetto della gestione, in altri termini l’incertezza nelle determinazioni ispira il principio della prudenza che porta ad accantonare le riserve necessarie a mantenere il valore del capitale investito e si distribuiscono solo i dividendi in misura da non intaccare il capitale. Il principio della liquidità alla base della finanza presuppone che l’equilibrio economico dipenda da quello finanziario andando contro 500 anni di ragioneria e contro la logica, quindi l’interesse diventa di breve tempo e si guarda solo ai flussi di cassa; la realtà è che tutti coloro, compresi studiosi che si occupano solo di finanza e monetarismo, farebbero fatica a fare anche un solo articolo in partita doppia. Quindi con i dividendi si distribuisce anche il capitale e ci rimettono i risparmiatori tanto la regola de “la massimizzazione del valore” passa sopra ogni principio di trasparenza e di eticità.

L’evidenza della contraddizione tra economia reale finita e la finanza infinita rende insostenibile che i due sistemi possano stare insieme, in questo modo fittizio i prezzi dei beni reali non sono più legati alla loro quantità fisica ma alle infinite scommesse su quantità scambiate ma inesistenti. Per ogni barile di petrolio vero ne vengono scambiati oltre 100 inesistenti o possiamo meglio dire di carta, i certificati di proprietà di oro sono un multiplo della quantità reale, i “futures” sul grano sono scommesse su quantità inesistenti ed in ogni caso non si chiudono mai. Sono le quantità virtuali a determinare i prezzi ma non le quantità reali; una volta il prezzo era in funzione di quantità reali di beni domandati ed offerti ed il prezzo manteneva una maggiore stabilità nel tempo perché le quantità reali non si possono magicamente moltiplicare con la bacchetta del Mago Merlino come, invece, sembra avvenga oggi.

La manipolazione dei prezzi e dei mercati pertanto non risponde ad una razionalità inesistente ma a giochi speculativi che nascondono sempre la verità ma se la “roulette” è truccata per capire il suo funzionamento bisogna osservare le mosse del croupier ed allora il modello previsionale più vicino alla realtà consente di provare a capire il gioco del domino che usa la finanza. Che i mercati siano oggetto di sistematica speculazione lo dimostra la condanna inflitta dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti alle banche d’affari di Wall Street ed all’agenzia di rating “Standard & Poor’s”; persino il governatore della Bce ha denunciato la cospirazione di forze globali contro le manovre della stessa Bce. Senza entrare nel merito del dibattito tra Ue ed i conti pubblici dell’Italia che ha fatto di tutto per mettersi nei guai vanno, però, evidenziate le responsabilità sia della Ue che della Bce indirettamente. Dal momento in cui i prodotti tossici - sub-prime, derivati e otc - sono stati deregolamentati aprendo la strada alla pura speculazione era necessario prendere atto delle possibili conseguenze sui conti dei singoli Stati il cui debito - generato dalla cicala politica - diventava ostaggio della speculazione. L’attacco all’euro nella “campagna d’Europa” partito nel febbraio del 2010 doveva indurre a scelte difensive della comunità europea che si è ben guardata dal farle, anzi la Deutsche Bank ha partecipato all’assalto dei btp italiani. Quando i buoi sono scappati dalla stalla ha introdotto un’austerity nei conti pubblici sicuramente doverosa ma si è ben guardata dal porre vincoli a quei prodotti tossici che avevano contribuito a generare il dissesto che abbiamo visto. L’esempio più evidente della politica fatta su misura è lo stato di insolvenza della Deutsche Bank che è esposta per 75mila miliardi di derivati, pari a 20 volte il Pil della Germania ma nessuno ha mai detto niente; la Deutsche Bank dov’era? Ora è facile dare la colpa alla politica cicala e dissennata ma, come dice il Manzoni, la ragione ed il torto non possono essere divisi con un taglio netto in modo che il tutto sia da una parte o dall’altra.

La finanza fuori controllo e totalmente deregolamentata diventa devastante, un arma di scontro egemonico, così come Warren Buffett aveva definito questi strumenti tossici - “armi finanziarie di distruzioni di massa” - la finanza finisce per assumere una dimensione di contrasto ai diritti universali dell’uomo che, dichiarati nel 1948, oggi si vedono progressivamente negati. Forse è giunta l’ora di capire da che parte sta la verità dei fatti e quanto dipendano dalla natura immutabile dell’uomo e dai suoi interessi piuttosto che dalla razionalità ormai mitologica dei mercati.

(*) Professore ordinario di Programmazione e Controllo - Università Bocconi


di Fabrizio Pezzani (*)