Ritorno al 1931?

Il crollo della Borsa di Wall Street nel 1929 non fu la causa della Grande Depressione. Seminò certamente panico dappertutto, ma già a metà del 1930 le economie mondiali si stavano stabilizzando. Fu due anni più tardi che cominciarono i guai. Nel maggio del 1931 fallì il Creditanstalt di Vienna, l’istituto di credito più importante dell’Austria, scatenando un effetto domino nel settore bancario e poi nel resto del mondo. La banca, dopo aver assunto crediti a breve termine per prestarli a lunga scadenza a chi non era in grado di rimborsarli, accumulò nel bilancio gravi sofferenze. Tipico della prassi bancaria. Per abbellire la posizione i dirigenti vararono un piano di riacquisto di azioni proprie allo scopo di farne salire il corso. L’operazione, condotta nel momento in cui i depositi si stavano già contraendo, squilibrò ancora di più il rapporto liquidità/depositi rendendo il Creditanstalt insolvente. Fu l’inizio di corse agli sportelli nel settore, di crisi valutarie e di un tracollo generale che culminò nel 1933 con il default di debiti sovrani in Europa e Stati Uniti. Il crollo del Creditanstalt segnò l’inizio della Grande Depressione spianando, in Germania, la strada ad Adolf Hitler.

La storia non si ripete ma fa la rima, diceva Mark Twain. L’episodio sopra ricordato ha delle allarmanti analogie con la situazione attuale soprattutto con riferimento alla Deutsche Bank (Db), la più grande banca tedesca che potrebbe scatenare una nuova grande depressione. Come il Creditanstalt, ha varato programmi di buyback azionari ma addirittura dal 2002 e in più ha un’esposizione in derivati che lascia esterrefatti: 70 trilioni di euro.

Qualche giorno fa, dopo che il titolo è calato del 36 per cento, il Ceo della Db, John Cryan ha dichiarato che “la banca è solida come una roccia”. Quando si è costretti a fare queste affermazioni è il caso di preoccuparsi. Alla vigilia del crack della Lehman Brothers i suoi dirigenti avevano detto una cosa simile. La Db è troppo grande per fallire, ma anche troppo grande da salvare. Il suo collasso creerebbe una situazione persino peggiore di quella del 1931. Ma potrebbe essere anche qualche altro grande istituto a far da detonatore, ad esempio la Bnp-Paribas, la più grande banca francese i cui titoli sono affondati del 52 per cento. Oppure qualche altra banca meno in vista. Da un sistema bancario con una leva finanziaria di 30 a 1, la scintilla può scatenarsi dovunque. L’indice Stoxx Europe 600 Banks Index, che segue l’andamento delle più grandi banche, è da mesi in caduta libera: proprio quello che ci si aspetta in una crisi finanziaria in grande stile.

Ora, va detto chiaramente che la responsabilità di questa situazione è soprattutto della Banca centrale europea. La prima domanda che anche il profano dovrebbe porsi è: la vigilanza prudenziale e il mantenimento della stabilità finanziaria non rientrano nelle funzioni delle banche centrali? Ma lasciamo stare, diventate ormai entità politiche hanno dimenticato la loro missione originaria.

Qui preme sottolineare che tutta questa situazione è degenerata dopo il varo di quella monumentale idiozia che sono i tassi di interesse negativi, pronti a rappresentare il nuovo assetto dell’ordine finanziario mondiale. Questa misura, adottata prima in Europa nel 2014 e di recente anche in Giappone, equivale ad una tassa sulle “riserve in eccesso”, cioè sui depositi che le banche commerciali detengono presso le banche centrali. Lo scopo era di incentivarle a concedere prestiti, ma ha avuto esattamente effetti opposti: lungi dall’essere espansiva è stata, come tutte le tasse, depressiva. Le banche hanno aggirato questo costo in modi diversi: o hanno impiegato i depositi per anticipare il rimborso dei prestiti alla banca centrale contraendone il volume e quindi la capacità di erogare prestiti; o li hanno trasferiti dove potevano catturare un interesse piuttosto che pagarlo, ad esempio depositandoli presso filiali americane che sulle riserve in eccesso lucrano lo 0,25 per cento; o, infine, li hanno impiegati in operazioni speculative contribuendo a creare quelle bolle che ne stanno compromettendo ancora di più i malandati bilanci.

Solo in Europa, oggi, ci sono oltre 5 trilioni di euro di titoli a interesse negativo ed è proprio questa massa ad aver acuito l’instabilità sistemica, riflessa nell’aumento degli spread. Sarà il mercato a forzare il rialzo degli interessi liberandosi dei debiti di governi a rischio di esplosione. Quanti, infatti, continueranno a mantenere in portafoglio bond a dieci anni con rendimenti negativi? I bond sono l’architrave del sistema finanziario poiché costituiscono le coperture dei prestiti e, quando queste coperture salteranno, crollerà l’intero edificio del credito mondiale.

Com’è possibile pensare che i tassi negativi possano risollevare economie moribonde? E che imporre un costo alle banche e allo stesso tempo derubare i risparmiatori, possa stimolare la ripresa? L’idea invece è proprio quella di sopprimere l’interesse per stimolare i consumi! Non passa per la mente dei geni che dirigono le banche centrali che a stimolare l’economia non sono i consumi ma la produzione, cioè i redditi senza i quali è impossibile consumare e che per farli crescere non serve la politica monetaria ma quella fiscale finalizzata ad abbassare le tasse. Ora si è verificato questo fenomeno: con i tassi negativi il risparmio invece di diminuire è aumentato. Perché? Semplicemente perché la soppressione dei rendimenti sta distruggendo i piani privati di pensionamento. In assenza di rendimenti, l’unico modo per incrementare il capitale è di accantonarne di più spendendo sempre di meno. Esattamente l’opposto di quello che i geni bancari si aspettavano. È la loro catena di causalità a non funzionare. Si sono autoconvinti che sia il consumo a guidare la spesa e che per far questo sia sufficiente ridurre il tasso di rendimento degli investimenti. Volete vedere la spesa dei consumatori salire? Cominciate a togliergli la paura di spendere non sabotando i loro piani di investimento. I tassi negativi stanno alimentando un’inquietudine generale. Ovvio che risparmiatori e investitori ritirino i propri risparmi dalle banche per impiegarli in attività reali. È il sintomo della crisi che avanza. La crisi del 1931 cominciò con la contrazione dei depositi…

Quale sarà la prossima mossa dei geni bancari? L’abolizione del contante per evitare la corsa agli sportelli. Ma potrebbe essere proprio questa ulteriore manovra totalitaria a mandare ad effetto la “soluzione finale” delle economie.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 18:43